Sempre più spesso viene portata all’attenzione dei Giudici la sorte degli animali domestici in caso di separazione e divorzio.
C’è da chiedersi, infatti, che fine fanno i nostri animali d’affezione nel caso in cui la coppia si separi. Da anni giace in Parlamento una proposta di legge volta a disciplinare tale aspetto, ma finora non ha visto la luce.
Tale disegno di legge, peraltro, tende a disciplinare la questione degli animali domestici rifacendosi all’affidamento dei minori, mettendo di fatto su piani abbastanza simili i figli all’amato fido. In mancanza, tuttavia, di una legge necessariamente sono i Giudici a doversi occupare della questione in considerazione delle plurime richieste che giungono ai Tribunali per decidere con chi debba rimanere l’animale di affezione in caso di separazione o divorzio.
Qui la Giurisprudenza si è molto divisa.
Bisogna, innanzitutto distinguere se si è innanzi ad una separazione consensuale -ossia una separazione nella quale vi è accordo dei coniugi- o ad una separazione giudiziale nella quale i coniugi non hanno trovato alcun accordo e quindi chiedono al Giudice di pronunciarsi anche sul punto dell’affidamento degli animali.
Nel caso di separazione consensuale è emblematica una sentenza del Tribunale di Como del 3 febbraio 2016 nella quale si stabilisce un importante principio, seguito di fatto dall’intera Giurisprudenza, ossia che l’accordo sulle sorti in merito all’affidamento e al mantenimento dell’animale d’affezione, avendo infatti anche un contenuto economico la questione attinente all’animale domestico, “non urta con alcuna norma cogente né con principi di ordine pubblico” e conseguentemente potrà essere omologata. In pratica in una separazione consensuale è ammissibile che le parti decidano in merito all’assegnazione dell’animale domestico e al suo mantenimento , il Tribunale ben potrà omologare detto accordo.
La questione è diversa, invece, se la separazione è giudiziale.
Buona parte della Giurisprudenza ha ritenuto che la questione non sia ammissibile in Tribunale , in quanto, in mancanza di una legge, non è compito del Giudice della separazione quello di regolare i diritti delle parti sugli animali di casa.
In verità, tuttavia, con l’andare del tempo , anche alla luce della normativa Europea che stabilisce che “gli animali sono esseri senzienti” (art. 13 del Trattato sul funzionamento dell’Unione) che è seguito dall’entrata in vigore della l. 4 novembre 2010 n. 201 , il sentimento per gli animali trova una protezione nel nostro ordinamento e quindi, avanti ad un riconoscimento di un diritto soggettivo dell’animale di compagnia , alcuni Tribunali si sono pronunciati anche in merito alla questione loro sottoposta riguardo all’affidamento e al mantenimento dell’animale stesso.
Va detto che mentre in un primo momento l’assegnazione del cane o del gatto è avvenuta avendo riguardo all’interesse della prole, ossia è stato stabilito di assegnare l’animale avendo riguardo al bene del minore della coppia, in un secondo momento, proprio partendo dal presupposto che l’animale è un essere senziente, in mancanza di una norma, ci si trova costretti a creare un principio giuridico , e ciò attraverso l’applicazione analogica della disciplina dettata dal legislatore in tema di affidamento dei figli ( Tribunale Roma 15 marzo 2016) . In pratica si è paragonato il cane al figlio e si è deciso di conseguenza, facendo riferimento alla disciplina dettata in tema di affidamento dei figli minori.
Altra Giurisprudenza, ed in questo senso è rilevante quanto affermato dal Tribunale di Sciacca, 19 febbraio 2019, ha preso le distanze dall’assimilazione dell’animale d’affezione al figlio, ha infatti ritenuto che pur non essendo l’animale un oggetto, e quindi non dovendo essere trattato come una cosa, non può neppure essere paragonato ad un figlio e infatti il Giudice nel disporre con chi deve stare l’animale domestico, parla di assegnazione e non di affidamento, non fa riferimento all’art. 337 bis c.p.c , e tuttavia riconosce che è necessario salvaguardare il legame affettivo che lega gli adulti all’animale a cui appartiene la coppia, e ciò proprio perché l’animale in questione è una creatura capace di provare emozioni e quindi di avvertire sofferenza non solo fisica ma anche psichica.
In conclusione possiamo dire che mentre quando vi è una separazione consensuale il Tribunale dovrà tenere in considerazione gli accordi che le parti hanno raggiunto in merito all’assegnazione dell’animale d’affezione e al suo mantenimento, quando non vi sia accordo dipende dalla posizione del Tribunale se vi sarà una pronuncia o meno sull’assegnazione di FIDO. La maggior parte dei Tribunale potrà ritenere la questione inammissibile, in quanto , in un ordinamento di civil law, quale quello italiano, in mancanza di una legge che regola la questione, il Tribunale potrà rifiutarsi di adottare un qualsiasi provvedimento, non essendo compito del giudice riempire un vuoto legislativo. Potrà tuttavia avvenire che il giudice, rifacendosi a principi costituzionali, possa assegnare all’animale un ruolo nella vita degli adulti e quindi decida di colmare tale vuoto legislativo stabilendo l’assegnazione dell’animale.
Auspicabile quindi, per il benessere della coppia non più tale, e del loro animale, trovare un accordo sul punto.
Nel caso di separazione o di divorzio, anche le cose apparentemente più semplici diventano complesse.
Per questo è sempre saggio rivolgersi a un professionista che presti assistenza legale: se hai bisogno di supporto da parte di un avvocato contatta il nostro studio, tutela i tuoi diritti!
Articolo scritto in collaborazione con l’avvocato Marta Michelon