Spesso, guardando film o serie TV, ci facciamo un’idea stereotipata e infarcita di luoghi comuni riguardo ad uno degli istituti più temuti da chiunque affronti il già difficilissimo momento del divorzio. L’assegno divorzile, ossia quanto l’ex coniuge è tenuto a versare al coniuge economicamente più debole a titolo di assegno di mantenimento.
Occorre partire dal presupposto che, la maggior parte delle volte, la narrazione di un divorzio che ci deriva dal cinema viene fatta sulla scorta del sistema giuridico statunitense. Spesso, appunto, le informazioni che filtrano sono stereotipate e servono più a fare da corollario ad una situazione drammaturgica che a descrivere la realtà.
Assegno divorzile: una misura unidirezionale?
Ad esempio, non è assolutamente vero che l’assegno divorzile va nell’unica direzione della moglie. Allo stesso modo non è vero che il marito deve dissanguarsi per soddisfare la pretesa di una cifra arbitrariamente fissata da un giudice onnipotente.
Nell’ordinamento italiano, l’assegno divorzile è stabilito secondo parametri ben precisi e il più possibile equi. Vediamo quali.
Innanzitutto, ci corre l’obbligo di fare un rapido passaggio sull’istituto legale dell’assegno divorzile.
La legge prevede che:
“tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio…” il Tribunale disponga “… l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive”.
Articolo 5 della legge 898/1970, al sesto comma,
L’idea di base è mantenere il tenore di vita.
Sino al 2017 la norma era stata interpretata così da garantire all’ex coniuge economicamente più debole un assegno che potesse permettergli lo stesso tenore di vita che aveva avuto durante la sussistenza del rapporto matrimoniale.
Nel 2017 viene abbandonato quel criterio guida e si ha riguardo all’autosufficienza economica del coniuge e alla sua capacità di produrre reddito. Invero la diversa interpretazione della normativa di riferimento è frutto dei tempi. In una famiglia degli anni 70 la moglie era molto spesso casalinga o comunque aveva un reddito inferiore a quello del marito poiché lavorava part-time per dedicarsi alla famiglia. Ad essa si è sostituita oggi una famiglia nella quale i redditi e i ruoli dei coniugi possono essere paritari. Sicché il parametro guida del tenore della vita matrimoniale non corrispondeva più al concetto di famiglia come oramai si interpreta.
Qui entra in gioco il concetto di diritto vivo
Il diritto vivo è appunto questo: l’adattare la norma, che ha carattere universale- ai tempi in cui la norma stessa deve trovare applicazione, e questo è il compito dei giudici. In tal senso sono intervenute le sentenze di cui si dirà appresso.
Dal criterio dell’autosufficienza economica, tuttavia, sono conseguite delle aberrazioni. Soprattutto in quei casi nei quali la moglie aveva conservato una capacità lavorativa che tuttavia non poteva più spendere in un momento di crisi economica.
A dirimere la questione è intervenuta la sentenza 18287/2018 delle Sezioni Unite. Questa ha avuto il merito di superare ma al contempo contemperare le opposte visioni giurisprudenziali vagliando l’oggettiva situazione delle parti. L’assegno divorzile viene parametrato alla situazione dei coniugi e alla storia coniugale. Si pone per la prima volta su un piano paritetico tutti i criteri presi in considerazione dall’articolo 5 della legge sul divorzio del 1970.
Ma qual è, dunque, lo scopo dell’assegno divorzile?
Attualmente, la funzione dell’assegno divorzile può così riassumersi: assistenziale, compensativa e solo in parte perequativa, ossia con lo scopo di eliminare eventuali disparità ed eliminare svantaggi.
Ne ha diritto chi si trova in una situazione di difficoltà economica come conseguenza della conclusione del matrimonio non avendo possibilità di procurarsi altrove i mezzi di sostentamento necessari sulla base di difficoltà oggettive.
Stabilito, quindi, il diritto all’assegno dell’ex coniuge, il Giudice sarà tenuto a determinare quale funzione, una o più, debba assolvere l’assegno. Se quella assistenziale, ossia ha lo scopo di sopperire ad oggettiva mancanza del coniuge economicamente debole, quella perequativa, di cui si è detto, o ancora quella compensativa. In questo caso comporta la valutazione dei sacrifici fatti dal coniuge “debole” per la famiglia. L’assegno potrà quindi essere quantificato anche sulla base del contributo dato dal coniuge alla vita coniugale. Questo per garantirgli un reddito che tenga conto anche dei sacrifici fatti.
Non è mai facile porre termine a una storia d’amore.
Così, sul finire di un matrimonio, si pareggiano i conti e si rimette in pari il piatto della bilancia. Ma è possibile agire preventivamente per evitare malintesi e non lasciare nulla al caso in un matrimonio?
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Articolo scritto in collaborazione con l’avvocato Marta Michelon