monopattini elettrici

Monopattini elettrici: cosa cambia con il nuovo codice della strada

Con la Legge 25 novembre 2024 n. 177, sono state introdotte una serie di novità in materia di sicurezza stradale, tra le quali una regolamentazione più rigorosa per i monopattini elettrici, veicoli che fino a questo momento venivano considerati alla stregua di comuni biciclette.

Quali sono le principali novità?

La riforma introduce una serie di provvedimenti volti a limitare gli incidenti, a rendere più sicuri i mezzi, a renderli identificabili e molto altro. Vediamo in dettaglio cosa prevede la nuova legge.

Limiti alla circolazione e di velocità per i monopattini elettrici

Prima di tutto, il nuovo Codice della Strada prevede un limite di velocità:

i monopattini a propulsione prevalentemente elettrica potranno circolare solo su strade urbane con limite di velocità non superiore a 50 km/h”.

È previsto, inoltre, l’obbligo per i gestori dei servizi di noleggio di installare sistemi automatici che impediscano il funzionamento dei monopattini al di fuori dalle aree in cui il Comune ne ha autorizzato la circolazione.

Il nuovo codice si propone, infine, di risolvere una delle problematiche principali emerse con l’utilizzo diffuso dei monopattini elettrici, ossia la sosta irregolare. In particolare, sarà ora vietata la sosta dei monopattini sul marciapiede. I comuni, a condizione che il marciapiede lo consenta, potranno, tuttavia, individuare con ordinanza delle aree di sosta riservate ai monopattini anche sul marciapiede, purché nella parte rimanente dello stesso sia assicurata la regolare e sicura circolazione dei pedoni e delle persone con disabilità; tale utilizzo dovrà essere indicato con la prescritta segnaletica. Le aree di sosta riservate ai monopattini potranno essere prive di segnaletica purché le coordinate Gps della loro localizzazione siano consultabili pubblicamente nel sito internet istituzionale del Comune. Ai monopattini sarà in ogni caso consentita la sosta negli stalli riservati ai velocipedi, ai ciclomotori e ai motoveicoli.

Requisiti tecnici

I monopattini dovranno rispettare una serie di caratteristiche tecnico-costruttive definite con Decreto del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.

Inoltre, i monopattini elettrici commercializzati in Italia dovranno essere dotati di indicatori luminosi di svolta e di freno su entrambe le ruote.

In caso di violazione, saranno previste sanzioni da 200 a 800 euro e, in casi estremi, la confisca del mezzo.

Obbligo del casco

Il nuovo Codice prevede l’estensione dell’obbligo di indossare il casco a tutti i conducenti, indipendentemente dall’età.

Obbligo di assicurazione per i monopattini elettrici

I monopattini a propulsione prevalentemente elettrica non potranno più essere posti in circolazione qualora non coperti dall’assicurazione per la responsabilità civile verso terzi prevista dall’articolo 2054 del Codice civile.

Monopattini elettrici: scatta l’obbligo di targa

C’è poi l’obbligo della targa. I proprietari dei monopattini elettrici avranno l’obbligo di chiedere il rilascio di apposito contrassegno identificativo adesivo, plastificato e non rimovibile, stampato dall’Istituto poligrafico e Zecca dello Stato, che dovrà essere esposto in modo visibile. La mancata esposizione, o l’uso di targhe contraffatte comporterà sanzioni da 100 a 400 euro.

Le norme per i monopattini elettrici sono solo una parte di un provvedimento molto complesso. Come tutti avranno letto, il nuovo Codice della Strada prevede numerose novità sia per quanto riguarda le sanzioni per eccesso di velocità che per guida in stato di alterazione psicofisica.

Per i monopattini elettrici cambia molto… ma non è tutto!

Infatti, il nuovo Codice della Strada prevede sanzioni specifiche per molti illeciti, aggravandone molte e arrivando, in certi casi, al ritiro della patente per tre anni. Avere l’assistenza di un legale, nel caso in cui si venna colpiti da una sanzione, è sempre la migliore soluzione. Se ne hai bisogno, contatta il nostro studio: tutela i tuoi diritti!

criterio di utilità

Spese condominiali: come ripartirle? E che cos’è il criterio di utilità?

Le spese condominiali sono spesso motivo di preoccupazione e discussione per chi vive in condominio. In un precedente approfondimento ci siamo occupati della loro gestione in caso di acquisto di un immobile, ma ora vogliamo spingerci oltre, esaminando aspetti meno evidenti che, tuttavia, diventano centrali al momento di affrontare i costi. In particolare, approfondiremo la ripartizione delle spese e il criterio di utilità, offrendo una guida chiara e pratica su un tema fondamentale per la vita condominiale.

Ripartizione e criterio di utilità: la base della legge

La ripartizione delle spese condominiali è uno dei temi caldi della vita in condominio. Discussioni, incomprensioni e talvolta veri e propri conflitti nascono spesso da un aspetto semplice, ma cruciale: chi paga cosa?

L’art. 1123 c.c. mette ordine definendo tre criteri di base:

  • millesimi di proprietà: ogni condomino paga in proporzione al valore del proprio appartamento;
  • uso: le spese si ripartiscono in base all’effettivo utilizzo del bene o servizio;
  • utilità: si paga in base al beneficio concreto che ciascuno trae da un bene comune.

Ed è proprio il criterio di utilità a sollevare le questioni più interessanti e controverse.

Ascensore e pulizia delle scale: chi beneficia di più, paga di più

Il criterio dell’utilità entra in gioco quando un servizio o un bene non porta lo stesso vantaggio a tutti. Pensiamo all’ascensore: chi vive al quinto piano lo usa molto di più rispetto a chi abita al piano terra. Di conseguenza, la legge prevede che le spese siano ripartite considerando il maggior beneficio dei piani alti.

Allo stesso modo, per la pulizia delle scale, i condomini ai piani superiori sono i principali “fruitori” di un servizio che li riguarda più da vicino rispetto agli abitanti del pianterreno.

Come evitare i conflitti: regole chiare e condivisione

Sebbene il criterio dell’utilità miri all’equità, non sempre è facile applicarlo. Un esempio? Chi abita al piano terra deve pagare per l’ascensore? Se questo serve anche cantine o box auto, la risposta è sì, ma in misura proporzionale all’utilizzo effettivo. È qui che regolamenti ben scritti e delibere assembleari trasparenti diventano fondamentali per prevenire tensioni tra condomini.

Il criterio di utilità aiuta a capire il meccanismo di ripartizione…

Il criterio di utilità è fondamentale per comprendere il meccanismo di ripartizione delle spese condominiali, ma la sua applicazione pratica può risultare complessa. Non di rado, infatti, incomprensioni e malintesi possono degenerare in vere e proprie dispute tra condomini. In situazioni del genere, è importante non sottovalutare il problema e affidarsi a un legale esperto. Se ne hai bisogno contatta il nostro studio: tutela i tuoi diritti!

Articolo scritto in collaborazione con la dottoressa Georgiana Badea

biotestamento

Biotestamento: cosa tutela la legge italiana

Due anni fa, la raccolta firme a favore del REFERENDUM PER L’EUTANASIA LEGALE ha fatto molto riflettere, ma al netto del dibattito pubblico non è stata seguita da azioni concrete.  Sono ancora molti i nodi da sciogliere sul fine vita, nella normativa italiana. Quali sono i limiti imposti ai cittadini riguardo al loro trattamento di fine vita e fino a che punto si possono spingere, da un lato, lo Stato e, dall’altra, la coscienza individuale nel soddisfare i desideri delle persone riguardo ai loro ultimi attimi di vita? 

Cominciamo col dire che in Italia, attualmente, le possibilità individuali attribuite ai singoli cittadini riguardo al loro fine vita sono normate dalla Legge sul Testamento Biologico. 

Ma cos’è la Legge sul Testamento Biologico? 

Il legislatore, con la legge 219/2017, “Norme in materia di consenso informato e disposizioni anticipate di trattamento”.è voluto intervenire su due fronti.

Da un lato, la legge promuove e rende più trasparente la relazione di cura e fiducia fra medico e paziente, disciplinando le modalità con cui si può esprimere il cosiddetto “Consenso informato”. In ogni momento, infatti, la persona può rivedere le sue decisioni, in particolare per quanto riguarda la rinuncia o il rifiuto di tutti gli accertamenti diagnostici o trattamenti sanitari, fra cui anche quelli che mantengono in vita il paziente. 

Il medico è tenuto a rispettare la volontà espressa dal paziente, offrendogli però il supporto necessario e descrivendo le possibili conseguenze delle decisioni che il paziente, in quel momento, sta prendendo. In ogni caso, va garantita una adeguata terapia del dolore per alleviare le sofferenze del paziente. 

 Il secondo fronte è quello delle cosiddette DAT, ossia le Disposizioni Anticipate di Trattamento.

Si tratta di quello che è più conosciuto come “Biotestamento”.

Il Biotestamento è previsto dall’articolo 4 della legge 219/2017. L’articolo sancisce la possibilità, da parte del paziente, di esprimere la propria volontà in materia di trattamenti sanitari, in previsione di una futura incapacità di autodeterminarsi. Le DAT sono rinnovabili, modificabili e revocabili in ogni momento e la loro redazione pò avvenire in diversi modi. 

L’intero corpus delle DAT sono raccolte in una Banca Dati Nazionale specifica, dove sono raccolti tutti i testamenti biologici che vengono poi consegnati a notai, Comuni o strutture sanitarie competenti. 

Due fronti, dunque: da un lato la capacità di decidere in merito al proprio trattamento sanitario quanto il paziente sia cosciente al momento della somministrazione dalle o delle terapie in oggetto. Dall’altro una tutela di tipo testamentario riguardo al proprio trattamento sanitario qualora il paziente non fosse in grado di confermare o rifiutare una terapia al momento della somministrazione.

Vuoi redigere il tuo testamento biologico? Un avvocato può aiutarti a farlo! 

Contatta il nostro studio: tutela i tuoi diritti! 

Articolo scritto in collaborazione con l’avvocato Alberto Padoan

multe

Multe e violazioni del codice della strada: i termini per la notifica

Quando circoliamo sulla strada, ci viene giustamente richiesto il rispetto del Codice della Strada. Le regole da rispettare sono molte, e il comportamento adeguato da tenere richiede la loro conoscenza, ma altrettante regole devono essere rispettate e altrettanta attenzione deve essere profusa quando ci viene notificata multe o una violazioni. Uno dei molti parametri che le forze dell’ordine devono rispettare sono i termini per la notifica: vediamo come funzionano.

Termini per la notifica di multe e violazioni: quanto e come

I termini che devono essere rispettati perché ci vengano notificata validamente ke multe sono estremamente rigidi e variano in considerazione di più elementi da tenere presenti. Questo ai sensi dell’articolo 201 del Codice della Strada.

Innanzitutto, se la violazione può essere contestata immediatamente (come nel caso in cui ci fermi una pattuglia delle forze dell’ordine impegnata in un controllo stradale), non riceveremo altra comunicazione a casa, ed essa sarà contestata sia al trasgressore quanto alla persona obbligata in solido. Il rifiuto di firmare o di ricevere il verbale non influisce sulla validità della notifica, che viene considerata comunque eseguita al momento.

Diversamente, se non è possibile la contestazione immediata (come nei casi di violazioni di velocità accertati da autovelox fissi) il verbale, con gli estremi precisi e dettagliati della violazione e con la indicazione dei motivi che hanno reso impossibile la contestazione immediata, deve essere notificato al soggetto identificato come il proprietario del veicolo. Perché ciò avvenga nei termini, si considera il decorso dal giorno del rilevamento dell’infrazione. Questo corrisponde a quello della violazione, a prescindere invece dalla successiva redazione del verbale che ne attesta l’infrazione stessa.

Quanto tempo per la notifica delle multe

Detta comunicazione dell’illecito e la notifica delle multe deve essere notificata al soggetto trasgressore entro 90 giorni dalla data di infrazione, oppure 360 giorni se residente all’estero, sia che essa avvenga a mezzo posta raccomandata che a mezzo posta certificata. Se il 90° giorno cade di giorno festivo, detto termine è prorogato automaticamente al giorno feriale successivo. La notifica a mezzo pec si perfeziona quando l’ente riceve la “ricevuta di consegna” del messaggio nella Pec del destinatario. Questo a prescindere dalla presa visione della stessa da parte del destinatario.

I giorni per la notifica sono calcolati in maniera diversa rispetto a quelli dei normali atti giudiziari. In quanto ai fini del perfezionamento da parte della pubblica amministrazione emittente, si considera il momento nel quale il plico contenente il verbale viene consegnato alle poste per la notifica. Di conseguenza, non quello in cui si riceve materialmente l’atto. Oltre i 90 giorni la notifica è inefficace, salvo circostanze particolari come: mancato aggiornamento del cambio di proprietà o di residenza presso i pubblici registri. In tal caso il termine decorre dalla data in cui l’ente accertatore ha avuto la possibilità di conoscere i nuovi dati.

E nel caso in cui la sanzione preveda di decurtare punti sulla patente?

Nel caso venga notificato un verbale per violazione amministrativa del Codice della Strada che prevede anche una decurtazione di punti dalla patente di guida, il soggetto deve entro sessanta giorni dalla ricezione del verbale fornire le generalità e i dati della patente di guida di colui che al momento dell’accertamento conduceva il veicolo, con l’avvertenza che ove non fornisse tali dati, sarà applicata a suo carico la sanzione prevista del pagamento di una somma da € 291 a € 1.166, oltre il valore della multa.

E se fossero più di semplici multe?

Una multa non è gran cosa, ma capita, alle volte, che la violazione sia più grave e la sanzione più pesante. In questi casi è sempre bene farsi assistere da un legale. Se ne hai bisogno, rivolgiti al nostro studio: tutela i tuoi diritti.

Articolo scritto in collaborazione con l’avvocato Lucrezia Zacchi

rappresentanza e procura

Rappresentanza e procura: uno sguardo alla legge

Spesso, per portare a termine operazioni o affari per cui non possediamo la preparazione tecnica adeguata, abbiamo bisogno del supporto di un esperto. 

È in questo caso che subentra il concetto di “Rappresentanza”, ossia il concetto giuridico che prevede che un soggetto agisca per conto e nell’interesse di un altro

La terminologia, fra il concetto di rappresentanza, procura o mandato, rischia spesso di generare confusione. Cerchiamo allora di comprendere in cosa consista la materia e dotarci sia di un glossario che di una comprensione di base di come questi meccanismi giuridici funzionino. 

Rappresentanza

Innanzitutto, definiamo il concetto di “rappresentanza”: essa sussiste nel momento in cui un soggetto ha il potere di compiere uno o più atti giuridici nell’interesse di un altro soggetto. Si parla quindi di Rappresentante per indicare colui che compie l’atto, e di Rappresentato per riferirsi a colui nel nome del quale l’atto viene compiuto

Qualora sia il Rappresentato ad attribuire al rappresentante il potere di rappresentarlo si parlerà di “Rappresentanza volontaria.”

Procura o Delega

L’atto giuridico con cui il rappresentato attribuisce al rappresentante il potere di rappresentarlo nel compimento del negozio giuridico è detto Procura

La Procura è un atto unilaterale attraverso il quale il rappresentato dichiara sussistere un rapporto di rappresentanza verso terzi soggetti. In soldoni, si tratta di una dichiarazione con la quale il rappresentato dichiara che per un determinato affare il rappresentante agirà per suo conto nei rapporti con terze parti.

Mandato

Il Mandato è , diversamente dalla procura, un vero e proprio contratto fra due parti, in cui un soggetto (o mandatario) si obbliga a compiere uno o più atti giuridici in nome di un secondo soggetto (o mandante). 

Il mandato può essere con o senza rappresentanza: quando il mandato è con rappresentanza, il mandatario dichiara di agire in nome e per conto del mandante nel compimento del negozio giuridico. Questo significa che gli effetti del negozio concluso ricadono direttamente in capo al mandante. Nel caso di mandato senza rappresentanza, invece, il mandatario agisce per conto del mandante, ma in nome proprio, con la conseguenza che i terzi non avranno alcun rapporto diretto con il mandante e gli effetti del negozio si produrranno nei confronti del mandatario. Una volta compiuto l’atto o gli atti previsti dal contratto di mandato, sarà necessario un ulteriore atto che trasferisca gli effetti di quanto stipulato nella sfera giuridica del mandante.

Falsus procurator

La legge contempla inoltre la figura del Falso Procuratore, colui che agisce del tutto privo della procura, o colui che, pur avendo la procura del rappresentato, agisca eccedendo i limiti della procura stessa e quindi esorbitando i suoi poteri.

In questo caso, il contratto è inefficace: non si producono gli effetti in capo a nessuna delle parti.

Inoltre, il Falso Procuratore è tenuto a risarcire gli eventuali danni che il terzo contraente possa subire dopo aver stipulato il contratto, confidando nel suo buon esito, purché questi ignorasse la mancata procura. 

La legge prevede tuttavia che il terzo contraente abbia l’onere di controllare la legittimazione della controparte e richiederne prova. 

La Ratifica

Può darsi il caso in cui un contratto concluso da un falso procuratore rientri nell’interesse del falsamente rappresentato. In questo caso, questi avrà interesse ad accettare l’operato del falso procuratore.

Per fare ciò dovrà porre in essere una ratifica: un atto con cui il falso rappresentato dichiara di accettare l’atto del falso procuratore ed appropriarsi dei suoi effetti. Questo avrà l’effetto di sanare l’eccesso o il difetto di potere del falso procuratore.

La ratifica è un atto recettizio, produce infatti i suoi effetti solo dal momento in cui il terzo soggetto ne viene a conoscenza. La ratifica può essere espressa sia verbalmente che per iscritto e anche tacitamente per fatti concludenti.

E dal punto di vista formale?

Che forma deve avere una procura?

Il codice civile dispone che la procura debba avere la stessa forma richiesta per il negozio principale

Quindi, nel caso in cui il contratto da concludersi richieda una forma scritta per essere valido, sarà necessaria una procura in forma scritta. In tutti gli altri casi sarà sufficiente che, davanti ai terzi, sia chiaro e non equivocabile che il rappresentante sta agendo nel nome del rappresentato. 


Hai bisogno di assistenza? Contatta il nostro studio: tutela i tuoi diritti!

Articolo scritto in collaborazione con l’avvocato Lucrezia Zacchi

tributi locali

Tributi locali: l’autotutela per i cittadini

Le tasse sono qualcosa con cui tutti noi abbiamo famigliarità, ma sono così tante che a volte non ne comprendiamo fino in fondo la natura. Eppure conoscerle è molto importante, soprattutto nel momento in cui non ci troviamo a pagare imposte sul reddito ma tasse strettamente legate alla nostra vita quotidiana che vanno a finanziare il livello a noi più vicino di amministrazione pubblica. È il caso dei tributi locali, che è giusto pagare ma che possono registrano anomalie che spesso vanno a danno dei cittadini: in questo caso, la legge ci mette a disposizione dei meccanismi di autotutela. Vediamo in cosa consistono. 

Cosa intendiamo per “Tributi locali

tributi locali sono quei tributi stabiliti dalla legge statale che ne definisce i presupposti, i soggetti passivi e le basi imponibili. I più noti sono sicuramente l’IMU e la TARI. L’imposta municipale propria (IMU) è l’imposta dovuta per il possesso di fabbricati, escluse le abitazioni principali classificate nelle categorie catastali diverse da A/1, A/8 e A/9, di aree fabbricabili e di terreni agricoli ed è dovuta dal proprietario o dal titolare di altro diritto reale (usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi, superficie), dal concessionario nel caso di concessione di aree demaniali e dal locatario in caso di leasing.

La tassa sui rifiuti (TARI) è il tributo destinato a finanziare i costi relativi al servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti. È dovuta da chiunque possieda o detenga a qualsiasi titolo locali o aree scoperte suscettibili di produrre i rifiuti medesimi.

Autotutela per i tributi locali: quando si può richiedere

È possibile chiedere in autotutela la rettifica o l’annullamento dell’atto che si ritiene errato.

Per rettifica si intende lasemplice correzione di errori materiali o di semplici irregolarità involontarie, mentre per annullamento si intende l’eliminazione dell’atto preso contezza della sua irregolarità tutto ciò può avvenire in autotutela, ovvero attraverso il quale l’ufficio tributi, qualora rilevi un errore contenuto nei propri atti, ha la facoltà di sistemare il proprio provvedimento senza costringere il contribuente a ricorrere alla commissione tributaria provinciale. L’annullamento dell’atto illegittimo comporta automaticamente l’annullamento degli atti ad esso consequenziali.

Come applicare l’autotutela

L’autotutela può essere applicata d’ufficio, se proviene dalla stessa pubblica amministrazione che, avvedendosi dell’errore, modifica il provvedimento viziato, oppure può essere richiesta su istanza del contribuente che ritiene l’importo richiesto non dovuto.

Questo per errore di persona o di soggetto passivo, evidente errore logico o di calcolo, errore sul presupposto d’imposta o doppia imposizione.

La presentazione dell’istanza di autotutela da parte del contribuente non sospende il termine per il pagamento del tributo né i termini per poter ricorrere al giudice tributario. Nel caso in cui l’ufficio tributi risponda negativamente all’istanza di autotutela presentata o rimanga in silenzio, il contribuente dovrà procedere al ricorso presso il giudice tributario, nei termini previsti dalla legge.

Il ricorso deve essere proposto, a pena di inammissibilità, entro  sessanta giorni dalla data di notificazione dell’atto. In caso di rifiuto tacito alla restituzione di tributi, sanzioni pecuniarie ed interessi o altri accessori non dovuti o di silenzio-rigetto all’istanza di autotutela cd. obbligatoria può essere proposto dopo novanta giorni dalla domanda di restituzione o dall’istanza. La decorrenza dei termini processuali è sospesa di diritto ogni anno dal 1° agosto al 31 agosto.

Autotutela per i tributi locali: uno dei molti modi per tutelarci

Quando riconosciamo di essere stati sottoposti a un trattamento ingiusto, sia esso di natura fiscale o altro, da parte dello stato, è giusto opporci e far valere la nostra buona fede. E questo non solo per una questione di autotutela, ma per responsabilità nei confronti dello stato stesso, che può in questo modo riconoscere e correggere i propri errori. Per fare questo, però, occorre una conoscenza della legge approfondita. Per questo rivolgersi a un legale qualificato è sempre la migliore soluzione. Se ritieni di avere bisogno di assistenza, rivolgiti al nostro studio: tutela i tuoi diritti!

Articolo scritto in collaborazione con l’avvocato Lucrezia Zacchi

conversione del pignoramento

Conversione del pignoramento: come salvare i propri beni

Capita di avere un periodo complicato dal punto di vista economico. A volte le conseguenze di questi periodi non hanno strascichi sgradevoli, altre volte, invece, lasciano il segno. Può capitare addirittura che si arrivi ad una procedura esecutiva per il pignoramento dei beni del debitore, e a quel punto sorge spontanea una domanda: quei beni sono definitivamente perduti? In effetti no, esiste ancora una possibilità: la conversione del pignoramento.

Conversione del pignoramento: cos’è?

La conversione del pignoramento è un istituto previsto e disciplinato dall’art. 495 c.p.c., che consente al debitore, dopo l’avvio di una procedura esecutiva e prima che sia disposta la vendita o l’assegnazione dei beni pignorati, di sostituire agli stessi una somma di denaro comprensiva dell’importo dovuto al creditore procedente e agli eventuali creditori intervenuti (capitale, interessi e spese) e delle spese dell’esecuzione. 

Come funziona la conversione del pignoramento

È necessario depositare un’apposita istanza nella cancelleria del Tribunale del luogo in cui è stato eseguito il pignoramento. Unitamente all’istanza di conversione, deve essere depositata in cancelleria, a pena di inammissibilità, una somma di denaro. Questa non sarà inferiore ad 1/6 dell’importo del credito per cui è stato eseguito il pignoramento e dei crediti dei creditori intervenuti indicati nei rispettivi atti di intervento, dedotti i versamenti già effettuati, che dovranno essere provati documentalmente.

L’istanza di conversione del pignoramento deve essere depositata prima che sia disposta l’assegnazione o la vendita, ossia prima che il Giudice emetta l’ordinanza con la quale fissa la data della vendita o delega le operazioni. Può essere presentata una sola volta nella procedura esecutiva, a pena di inammissibilità.

Dopo il deposito dell’istanza, il Giudice dell’esecuzione, valutata l’ammissibilità della domanda, determinerà, previa audizione delle parti, l’importo globale che il debitore dovrà versare ed il termine per il versamento. Il giudice, tuttavia, può anche rigettare l’istanza o dichiararla inammissibile ovvero accoglierla solo parzialmente. Il debitore potrà in tal caso chiedere, con istanza motivata, la modifica o la revoca dell’ordinanza ex art. 487 c.p.c. oppure presentare ricorso ex art. 617 c.p.c.

Conversione e rateizzazione: è possibile?

Solo quando i beni pignorati siano costituiti da beni immobili o cose mobili, il giudice può disporre, se ricorrono giustificati motivi, un pagamento rateale, a cadenza mensile, fino ad un massimo di quarantotto mesi.

Cosa succede se il debitore non paga?

In caso di mancato versamento di anche una sola rata, ovvero di un ritardo nel versamento superiore a 30 giorni, il debitore si riterrà decaduto dal beneficio. Le somme già versate formeranno parte dei beni pignorati e, su richiesta del creditore procedente o di un creditore intervenuto, la procedura esecutiva riprenderà e seguirà la vendita.

Qualora, invece, il debitore provveda all’integrale pagamento nei termini stabiliti, i beni pignorati saranno liberati dal vincolo del pignoramento e rientreranno nella piena disponibilità del debitore.

La conversione del pignoramento suggerisce che c’è sempre una possibilità, ma…

Simili procedure non vanno mai prese sottogamba. Ignorare avvisi, saltare pagamenti o disattendere ingiunzioni non è mai la soluzione, anzi un atteggiamento del genere non fa che esacerbare i problemi. Quando ci si trova in difficoltà, l’unica cosa da fare è rivolgersi a un legale esperto che ci consigli per il meglio, aiutandoci ad uscire da un periodo difficile nel modo migliore e meno gravoso. Se hai bisogno di assistenza contatta il nostro studio: tutela i tuoi diritti!

Articolo scritto in collaborazione con l’avvocato Camilla Marcato.

diritto all'oblio

Diritto all’Oblio: Come proteggere la propria reputazione Online

Le notizie online hanno una longevità che va ben oltre quella dei media tradizionali. Esistono, però, alcune informazioni che non vogliamo più siano di pubblico dominio. Il diritto alla rimozione di tali dati dalla rete viene chiamato “diritto all’oblio”, ma possiamo pretenderlo sempre?

Diritto all’oblio: di cosa stiamo parlando?

Il diritto all’oblio, sancito dall’articolo 17 del Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (GDPR), è un diritto fondamentale che consente agli individui di richiedere la rimozione dei propri dati personali online. Parliamo di notizie, foto, video eccetra, quando questi non sono più pertinenti, sono obsoleti o sono trattati illegalmente.

Nel contesto attuale, dominato dal digitale, il diritto all’oblio rappresenta una fondamentale salvaguardia per la tutela della propria reputazione. Questo impedisce di rimanere esposti senza limiti di tempo ad una rappresentazione non più attuale della propria persona, a causa della consultazione digitale o della ripubblicazione di una notizia relativa a fatti del passato. La tutela del diritto all’oblio, tuttavia, va posta in bilanciamento con l’interesse pubblico alla conoscenza del fatto. Si tratta dell’espressione del diritto di manifestazione del pensiero e quindi di cronaca e di conservazione della notizia. I criteri per il bilanciamento sono stati, infatti, individuati nell’attualità delle informazioni, nella loro esattezza e nella rilevanza pubblica del soggetto coinvolto.

Come esercitare il diritto all’oblio?

  1. La prima azione da intraprendere è inviare una richiesta motivata di cancellazione dei dati al titolare del trattamento, ovverosia il soggetto che determina le finalità ed i mezzi del trattamento del dato personale. Questi dovrà dare un riscontro entro un mese, prorogabile di due mesi in casi complessi. Google, ad esempio, ha predisposto un modulo web per l’inoltro di tale richiesta che dovrà essere corredata da motivazioni precise e dall’URL specifico in cui si trova la notizia da cancellare.
  2. Se il titolare del trattamento non rispetta i termini stabiliti, rifiuta la richiesta senza giustificazione adeguata. Oppure, se la risposta non è soddisfacente, l’interessato può presentare un reclamo al Garante per la protezione dei dati personali. Questi potrà ordinare la cancellazione dei dati se ritiene che ci sia stata una violazione del diritto all’oblio.
  3. Instaurazione di un contenzioso nel caso in cui l’interessato intenda tutelare i suoi diritti giudizialmente. L’azione giudiziaria mira a ottenere un ordine di cancellazione dei dati ed eventualmente un risarcimento per i danni subiti a causa della mancata tutela del diritto all’oblio.

Anche il nostro legislatore è intervenuto di recente, introducendo una tutela rafforzata e più celere del diritto all’oblio per i casi di cronaca giudiziaria. Ed infatti la riforma Cartabia ha introdotto l’art. 64-ter delle disposizioni attuative del codice di procedura penale. Con questo ha inteso garantire il diritto all’oblio degli imputati e delle persone sottoposte ad indagini nei cui confronti è stata emessa una sentenza di proscioglimento, di non luogo a procedere ovvero un provvedimento di archiviazione.

In tali casi il soggetto interessato potrà richiedere alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento di apporre il divieto di indicizzare i propri dati nella rete internet. In questo modo impedisce qualsiasi relazione futura online tra i propri dati personali ed il procedimento penale concluso con esito favorevole. Oppure, qualora le notizie sul web siano già pubbliche, deindicizzare i suoi dati con la rimozione dall’indice dei motori di ricerca.

Far valere i propri diritti è fondamentale, ma occorre farlo nel modo corretto!

Il diritto all’oblio è una richiesta molto diffusa nell’epoca di internet, e in effetti la tutela della privacy e della propria riservatezza è importantissima. Anche in questo caso, come in tutti quelli che richiedono la conoscenza della legge, non è il caso di muoversi da soli. L’intervento di un legale specializzato è fondamentale per non commettere errori e ottenere il risultato che ci prefiggiamo nel modo migliore e più rapido. Se ne hai bisogno contatta il nostro studio: tutela i tuoi diritti!

Articolo scritto in collaborazione con l’avvocato Giacomo Grasso

responsabilità dell'albergatore

La responsabilità dell’albergatore per le cose portate in albergo.

Quando andiamo in vacanza l’hotel diventa la nostra seconda casa: è lì che lasciamo tutto il necessario per trascorrere qualche giorno in totale relax. E se dovesse succedere qualcosa ai nostri effetti personali? Qual è la responsabilità dell’albergatore? Ne risponde oppure no?

Responsabilità dell’albergatore: uno sguardo alla legge

In base a quanto previsto dall’articolo 1783 del Codice Civile, l’albergatore risponde di ogni deterioramento, distruzione o sottrazione delle cose portate in hotel.

Quella dell’albergatore è una responsabilità che sorge con la semplice introduzione da parte del cliente delle cose all’interno della struttura ricettiva e permane per tutto il tempo in cui usufruisce dell’alloggio.

La responsabilità dell’albergatore per gli oggetti portati dal cliente prescinde, in ogni caso, dal fatto che questi le affidi o meno alla sua custodia.

L’eventuale consegna per la custodia, sotto questo profilo, costituisce, infatti, solamente un criterio di delimitazione della responsabilità.

Ai sensi dell’articolo 1784 c.c., l’albergatore è illimitatamente responsabile sia per le cose che gli vengono lasciate in custodia, sia per quelle che si è rifiutato di custodire ma che, per legge, avrebbe dovuto accettare. Le carte-valore, il denaro contante e gli oggetti di valore. La legge, in ogni caso, gli consente di rifiutarsi di ricevere tali beni qualora questi siano pericolosi. Oppure, tenuto conto dell’importanza o delle condizioni di gestione dell’albergo, abbiano valore eccessivo o siano ingombranti.

E per quanto riguarda gli altri oggetti?

Per quanto concerne, invece, gli altri oggetti che il cliente immette nei locali che l’albergatore mette a sua disposizione (la camera ad uso esclusivo, i locali di uso comune, le aree pertinenziali e quant’altro), sulla scorta di quanto disposto dall’art. 1783, III comma, codice civile, la responsabilità di quest’ultimo è limitata al valore di quanto si sia deteriorato, distrutto o sia stato sottratto nel limite di cento volte il prezzo di locazione dell’alloggio per giornata.

Questo contenimento della responsabilità è stato previsto dal legislatore nell’ottica di individuare un punto di equilibrio tra l’esigenza che ha il cliente durante il soggiorno di non dover tenere sempre con sé tutti i propri effetti personali e quella di non gravare in maniera eccessiva l’albergatore con una forma di responsabilità illimitata su beni dei quali non è in grado di esercitare una forma di controllo diretto.

La responsabilità dell’albergatore: quando la limitazione viene meno

Si tratta di un limite che, comunque, può venir meno nei casi previsti dall’art. 1785 bis c.c., ossia nelle ipotesi in cui il deterioramento, la distruzione o la sottrazione avvengano per colpa (ossia per negligenza, imprudenza o imperizia) dell’albergatore o di uno dei suoi familiari o ausiliari.

Ad ogni buon conto, ai sensi dell’art. 1785 c.c., la responsabilità dell’albergatore è esclusa quando il verificarsi di tali eventi sia dovuto alla condotta del cliente o di persone a lui collegate. Oppure a cause di forza maggiore o dipendenti dalla natura degli oggetti stessi.

La responsabilità dell’albergatore riguardo ai beni degli ospiti è un argomento complesso…

Ciononostante succede spesso, e vale la pena conoscere il funzionamento della legge in questi casi. Ancora di più, però, è fondamentale farsi assistere da un legale specializzato nel momento in cui il danno sia consistente. Se ne hai bisogno puoi rivolgerti al nostro studio: tutela i tuoi diritti!

informative sulla privacy

Capire le informative sulla privacy: cosa firmiamo ogni giorno e perché è importante

Nell’era digitale, ci capita spesso di firmare informative sulla privacy senza pensarci troppo. Che sia per un nuovo servizio online, una newsletter o una palestra, diamo il nostro consenso per la raccolta e l’uso dei nostri dati personali. Ma cosa stiamo davvero firmando? E perché è così importante comprenderlo?

Cosa sono le informative sulla privacy?

Le informative sulla privacy sono documenti legali essenziali che delineano in modo chiaro e dettagliato le modalità con cui un’azienda o un’organizzazione raccoglie, utilizza, condivide e protegge i dati personali degli utenti. Questi documenti sono fondamentali per garantire la trasparenza e il rispetto della privacy degli utenti. In diverse giurisdizioni, tra cui l’Europa con il Regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR) e in Italia attraverso le normative del Garante per la Privacy, è obbligatorio fornire queste informative per assicurare che gli utenti siano consapevoli dei loro diritti e delle modalità di gestione delle loro informazioni personali.

Nonostante la loro cruciale importanza, le informative sulla privacy spesso utilizzano un linguaggio tecnico e giuridico che può risultare complesso da comprendere per coloro che non sono esperti del settore. Pertanto, è di vitale importanza leggere con attenzione queste informative e comprendere pienamente i termini e le condizioni a cui si sta aderendo.

Ecco allora quali sono i punti principali del contenuto di un’informativa sulla privacy:

  1. Raccolta dei dati: descrive quali informazioni vengono raccolte, come nome, indirizzo e dati di navigazione.
  2. Uso dei dati: spiega come i dati raccolti verranno utilizzati, ad esempio per migliorare i servizi o per scopi di marketing.
  3. Condivisione dei dati: indica con chi i dati possono essere condivisi, come partner commerciali, fornitori di servizi o enti governativi.
  4. Diritti degli utenti: elenca i diritti degli utenti in merito ai propri dati, come il diritto di accesso, rettifica, cancellazione e opposizione al trattamento.
  5. Misure di sicurezza: descrive le misure adottate per proteggere i dati dall’accesso non autorizzato o dalla divulgazione.

Problemi comuni

Uno dei problemi principali delle informative sulla privacy è la loro lunghezza e complessità. Molti di noi si trovano a scorrere rapidamente questi documenti, accettando i termini senza una lettura approfondita. Questo può portare a conseguenze indesiderate, come la condivisione non intenzionale dei propri dati con terze parti.

Ci sono stati numerosi casi in cui la mancata comprensione delle informative sulla privacy ha portato a problemi significativi. Ad esempio, alcuni utenti si sono ritrovati con i loro dati venduti a società di marketing senza saperlo, ricevendo pubblicità mirata non richiesta. In altri casi, i dati sono stati condivisi con terze parti per scopi di ricerca o analisi, senza un chiaro consenso da parte degli utenti.

Consigli pratici per i lettori

Per proteggere meglio i tuoi dati personali, è importante prendersi il tempo per leggere attentamente le informative sulla privacy. Ecco alcuni suggerimenti:

  1. Cerca parole chiave: parole come “dati condivisi”, “terze parti” e “diritti degli utenti” possono aiutarti a identificare rapidamente le informazioni più rilevanti.
  2. Chiedi chiarimenti: se qualcosa non è chiaro, non esitare a chiedere spiegazioni. Le aziende sono tenute a fornire contatti specifici per chiarimenti, spesso includendo il nome e i dettagli del loro Data Protection Officer (DPO), la persona responsabile della protezione dei dati personali. Puoi contattare il DPO per qualsiasi domanda o dubbio relativo alla gestione dei tuoi dati personali.
  3. Usa strumenti di protezione della privacy: Utilizza le impostazioni di privacy dei browser e le app di gestione della privacy per proteggere i tuoi dati.

Informative sulla privacy: un tassello nella tutela dei dati personali

Certo, però, che un tassello non è l’intero puzzle. La tutela dei dati sensibili e della privacy personale è qualcosa di molto complesso che non è facile padroneggiare. Ecco per quale ragione è sempre meglio rivolgersi a un legale, sia per essere tutelati al meglio che per non violare la legge nel momento in cui, ad esempio per motivi di lavoro, ci troviamo a dover gestire dati sensibili altrui. Se hai bisogno di assistenza per questo o per altri argomenti, contatta il nostro studio: tutela i tuoi diritti!

Articolo scritto in collaborazione con la dottoressa Georgiana Badea