difensore d'ufficio

Il difensore d’ufficio: la normativa

Il nostro codice di procedura penale prevede che in tutte le ipotesi nelle quali l’imputato deve essere assistito da un difensore e non provveda alla sua nomina, gli venga nominato un difensore d’ufficio. Questi ovviamente cessa dalla sua attività non appena l’imputato provveda a nominarne uno di fiducia.


L’istituto va considerato vanto di civiltà giuridica di uno stato democratico, che garantisce, fin dal suo sorgere, la difesa tecnica alla persona indagata. Purtroppo si tratta di un istituto con luci ed ombre, dovute da un lato alle diverse impossibilità a cui si trova innanzi il difensore in tutti quei casi nei quali non può interloquire con il cliente, dall’altro alla svalutazione della difesa d’ufficio per prassi giudiziaria.

La disciplina della difesa d’ufficio ha subìto e continua a subire cambiamenti, in linea con la volontà di rendere effettiva l’equiparazione tra la difesa d’ufficio e la difesa di fiducia. In particolare il legislatore ha cercato di equiparare le due figure in primo luogo garantendo alta professionalità del difensore d’ufficio, il quale viene iscritto in determinati elenchi, da cui poi la p.g. o l’autorità giudiziaria attinge solo ove presenti determinati requisiti.

Nella relazione dell’onorevole Saponara durante la seduta della camera dei Deputati del 18 dicembre 2000 si legge

“[…] il difensore d’ufficio deve essere come quello di fiducia e deve avere la sua stessa dignità; per assurdo, egli deve essere migliore dell’avvocato di fiducia”.

Si prevede, inoltre, che il difensore d’ufficio debba essere adeguatamente retribuito.

Attualmente, con l’ultima riforma, si prevede che l’elenco dei difensori d’ufficio (ora tenuto presso ciascun consiglio dell’ordine circondariale) venga unificato su base nazionale, attribuendo al Consiglio Nazionale Forense la competenza in ordine alle iscrizioni e al periodico aggiornamento.

Al fine di assicurare la qualificazione professionale, sono previsti criteri più rigorosi per l’iscrizione, richiedendo che chi viene iscritto a questo elenco segua dei corsi di aggiornamento che debbono avere un’adeguata durata e un esame finale. E’, inoltre, stata elevata a cinque anni – in precedenza erano due – la pregressa esperienza professionale in materia penale o, in alternativa, il conseguimento del titolo di specialista in diritto penale.

Ciò per comprendere come l’avvocato d’ufficio debba essere necessariamente persona con esperienza nel settore penale.

Il difensore d’ufficio entra nella scena processuale in momenti che possono essere differenti: o sin dall’inizio, con il primo atto garantito per il quale si prevede l’assistenza del difensore. Oppure anche in seguito nel caso di rinuncia, assenza, revoca o incompatibilità del precedente difensore. L’indagato viene subito avvertito di chi sia il suo difensore d’ufficio, e lo stesso viene altresì informato dell’obbligo di retribuzione. Questo a meno che l’indagato non possa accedere al patrocinio a spese dello Stato. Questo perché è diffusa l’opinione della gratuità della difesa d’ufficio, quando invece viene espressamente riconosciuta la retribuzione per il difensore.

Proprio per ovviare agli inconvenienti legati all’opinione della gratuità della difesa d’ufficio, in quanto dalla relazione dei lavori parlamentari si ricava che “parità [tra il difensore d’ufficio e il difensore di fiducia, n.d.a.] non possa esservi fino a quando il difensore d’ufficio non sia posto in grado di svolgere la propria attività nella prospettiva di ricevere adeguata retribuzione”. L’art. 32 disp. att. c.p.p. prevede che le procedure intraprese per il recupero dei crediti professionali vantati dai difensore d’ufficio sono esenti da bolli, imposte e tasse ed ancora l’art. 116 della normativa in materia di spese di giustizia prevede che qualora il difensore d’ufficio di persona reperibile (irreperibile di fatto) abbia esperito inutilmente le procedure per il recupero forzoso del proprio onorario, le spese verranno liquidate dal Giudice.

L’art.117 del dpr, invece, prevede l’ipotesi dell’irreperibile di diritto. In questo caso, salva la nuova disposizione in tema di irreperibilità, al pagamento del difensore nominato d’ufficio provvede lo Stato. In entrambi i casi, comunque, lo Stato ha diritto di ripetere dal condannato le spese sostenute per il patrocinio.

Difensore d’ufficio: la pratica

Gli aspetti pratici e i problemi legati alla difesa d’ufficio sono molteplici, alcuni endo-processuali, legati alla normativa di riferimento, altri eso-processuali, legati alla prassi giudiziaria. Non ultimo lo svilimento dell’avvocato stesso nel momento nel quale gli si chiede di preparare un’adeguata strategia difensiva di un soggetto che non si è mai incontrato e del quale si ignora addirittura la residenza.

Non può sottacersi che è abitudine della p.g. permettere agli indagati di eleggere domicilio presso il difensore d’ufficio. Questo impedisce da un lato al difensore di poter aver un minimo contatto con il cliente, dall’altro allo stesso cliente di conoscere la propria sorte giudiziaria in quanto non verrà mai informato degli eventi processuali.  Quella della mancanza del contatto con il cliente è la prima grande difficoltà del difensore d’ufficio che non potrà approntare alcuna strategia processuale se non quella documentale, ossia un approfondito studio degli atti.

Se solo si consideri che il rapporto tra cliente e avvocato ha le proprie fondamenta nella fiducia dell’uno nei confronti dell’altro, ben si può comprendere come, minato nelle fondamenta il rapporto, la difesa non possa che essere claudicante e talvolta inadeguata. Va anche detto che gli atti raccolti dalla p.g. e che portano ad un rinvio a giudizio molto spesso contengono valutazioni negative a carico dell’indagato. L’assunzione dei testi, in questi casi, appare una tappa obbligata per giungere a quel minimo di verità processuale che garantisca la difesa del soggetto. 

Vi sono, invece, quei casi nei quali l’incontro fra il difensore d’ufficio e l’indagato è certo,

Quindi quando il soggetto viene arrestato e si ha l’udienza di convalida.

Può essere, questo, l’unico contatto tra l’indagato e il difensore, per cui è bene approfittare del momento per comprendere gli accadimenti. Infatti se a seguito dell’udienza di convalida il soggetto viene liberato, avviene molto spesso che si perdano le tracce del cliente e quindi non sia più possibile costruire un’adeguata difesa. Anche le strategie processuali vanno improntate tenendo conto di tali aspetti pratici. Avviene spesso, quindi, che nel giudizio direttissimo il difensore sia subito portato ad avanzare richieste di riti alternativi. Questi non potranno più trovare ingresso nell’ipotesi in cui il difensore perda i contatti con il cliente.

Diversa, invece, è la situazione quando questo contatto sia possibile.

Se il contatto avviene sarebbe comportamento deontologicamente ineccepibile quello di informare nuovamente il soggetto della sua facoltà di nominare un difensore di fiducia. Ove tale decisione non venga presa “trasformare” la nomina d’ufficio in nomina di fiducia, potendo così ampliare le proprie facoltà e poteri nell’ambito difensivo.

Nella prassi la “trasformazione” avviene soprattutto per permettere al difensore di poter rinunciare ad un mandato divenuto difficile. Infatti va sottolineato che il difensore d’ufficio non può spogliarsi del mandato, se non in precisi e ben individuati casi. Tuttavia laddove manchi il rapporto fiduciario la gestione del cliente, molto spesso soggetto difficile, è un ulteriore ostacolo alla effettiva difesa di questi.

E’ del tutto sconsigliabile, poi, optare per un’ingiustificata e reiterata assenza del difensore d’ufficio nel corso del processo.

Nella prassi, in questi casi, si ricorre all’istituto di cui al 97 IV co. c.p.p., ossia la sostituzione con il difensore di turno. Si tratta di un soggetto prontamente reperibile il quale, tuttavia, in detta situazione, non può che approntare una difesa tecnica. Questa è volta esclusivamente a verificare la sussistenza formale delle regole procedurali, ma aspettarsi, in questi casi, un’adeguata difesa è una chimera per il difensore stesso.

Fuori dubbio è che il difensore d’ufficio possa svolgere indagini difensive, possa attivarsi mediante impugnazione. Tuttavia, anche in questi casi, la normativa viene inevitabilmente a scontrarsi con problemi pratici. Si deve considerare che avanti all’ordinario cliente “virtuale” del difensore d’ufficio, difficilmente il difensore stesso potrà intraprendere costose e dispendiose indagini difensive. Si caricherebbe caricandosi, anche, dei rischi deontologici e professionali legati alle indagini difensive stesse.

In definitiva, tuttavia, può dirsi che i problemi legati alla difficoltà di una soddisfazione economica del difensore d’ufficio non possono fermare il difensore stesso. In definitiva, deve essere “preparato, agguerrito, dinamico ed organizzato”.

Il difensore d’ufficio è solo una possibilità

Molte persone hanno dei legali di fiducia a cui affidarsi. Studi o professionisti specializzati e preparati a difendere al meglio il loro cliente. Se hai bisogno di tutela e difesa rivolgiti al nostro studio: tutela i tuoi diritti!

casellario giudiziale

Casellario giudiziale: la storia penale, civile e amministrativa di una persona

Sempre più spesso, per accedere a molti posti di lavoro, ad esempio nel campo delle spedizioni o dello stoccaggio merci, occorre presentare il cosiddetto Certificato del Casellario Giudiziale. Si tratta di un documento ormai veramente importante, con cui molti hanno famigliarità senza però conoscerne appieno il senso e soprattutto la legge che a esso soggiace. 

Certificato del casellario giudiziale: in cosa consiste

Il certificato del casellario giudiziale contiene indicazioni sui provvedimenti in materia penale, civile  e amministrativa (i provvedimenti penali di condanna definitivi e relativi all’esecuzione penale, alla capacità della persona: interdizione, inabilitazione, amministrazione di sostegno). Esso può essere richiesto presso qualsiasi Procura della Repubblica sul territorio nazionale, a prescindere dal luogo di residenza o dal luogo di nascita.

La richiesta va presentata dall’interessato, o da persona da lui delegata, muniti di documento di riconoscimento in corso di validità. Esso soggiace al versamento delle marche da bollo, il cui importo varia a seconda dell’urgenza con il quale viene richiesto.

Ci sono casi in cui il rilascio del certificato è gratuito, ad esempio quando deve essere:

  1. esibito nelle procedure di adozione, affidamento di minori
  2. esibito nelle controversie di lavoro, previdenza ed assistenza obbligatorie
  3. esibito in un procedimento nel quale l’interessato è ammesso a beneficiare del gratuito patrocinio
  4. unito alla domanda di riparazione dell’errore giudiziario

Una eccezione per la pubblica amministrazione

Il certificato rilasciato all’interessato non può essere prodotto agli organi della pubblica amministrazione o ai gestori di pubblici servizi. Per questi, infatti, il privato produce la dichiarazione sostitutiva della certificazione, di cui all’art. 46 D.P.R.28 dicembre 2000 n. 445.

Certificato di carichi pendenti: la sua vera essenza

Il certificato dei carichi pendenti, invece, consente la conoscenza dei procedimenti penali in corso a carico di un determinato soggetto e gli eventuali relativi giudizi di impugnazione.

Esso, a differenza del casellario, si deve richiedere nel luogo di residenza dell’interessato e riporta i procedimenti pendenti presso detto ufficio nonché quelli in corso presso le procure distrettuali antimafia. Per il resto vanta le stesse caratteristiche elencate sopra.

Cancellazione dei reati: pulire il casellario giudiziale

È possibile provvedere alla cancellazione dei reati dal proprio casellario chiedendo la RIABILITAZIONE, istituto premiale volto alla risocializzazione del reo

Perché si possa procedere è necessario che:

  • siano decorsi 3 anni dall’espiazione della pena;
  • abbia mantenuto una buona condotta in questo lasso di tempo;
  • non sia sottoposto a misure di sicurezza;
  • siano state pagate le spese processuali e l’eventuale risarcimento danni

Richiedere il casellario giudiziale è un diritto di trasparenza

Ma l’accesso alle informazioni amministrative che ci riguardano non è che un elemento di un più complesso sistema di tutele per i diritti civili e individuali. Conoscerne l’intreccio e padroneggiarlo, però, è davvero complesso. Per questo l’assistenza di un legale è spesso una necessità: contatta il nostro studio se ne hai bisogno, tutela i tuoi diritti!

allontanamento dalla casa familiare

La misura dell’allontanamento dalla casa familiare

Nel tutelare gli interessi e, a volte, l’incolumità di una persona, lo Stato deve intervenire in modo deciso, con misure che ne tutelino la salute e, nel caso di un minore, gli forniscano un ambiente adatto alla sua crescita. L’allontanamento dalla casa familiare, in casi estremi, è un provvedimento che può salvare non solo il futuro, ma anche la vita della persona o delle persone coinvolte. Ecco in cosa consiste.

Allontanamento dalla casa familiare: quando scatta

Disciplinato dall’art. 282 bis del codice di procedura penale, l’istituto rientra tra le misure coercitive personali, ovvero a quei provvedimenti che limitano la libertà della persona in quanto necessari ad evitare che si possano realizzare situazioni di pericolo per la collettività, dovute a particolari esigenze, quali come nel caso di specie quella di reiterazione delle condotte criminose.

L’articolo in esame presuppone la commissione di un reato di violenza (fisica, sessuale..) che arrechi un pregiudizio grave all’integrità fisica o morale da persona che viva all’interno della sfera familiare. Per persona convivente intendiamo sia i rapporti tra il coniuge o il convivente di fatto sia tra il genitore e i figli.

Come si ottiene l’allontanamento dalla casa familiare?

Il Pubblico Ministero può richiedere al Giudice di emanare un provvedimento di protezione e allontanamento dal domicilio familiare dell’imputato, nonché nelle ipotesi più gravi può prescrivere al soggetto di non avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa.

Ordine di protezione: cosa comporta

Le disposizioni contenute nell’ordine di protezione contro gli abusi familiari e che vengono disposte dal giudice possono essere:

  • imporre la cessazione della condotta lesiva;
  • allontanare l’autore delle violenze dalla casa familiare
  • prescrivere che non si avvicini ai luoghi frequentati dal soggetto offeso, intesi non solo come il luogo di lavoro, ma anche il domicilio dei parenti, la scuola dei figli ecc
  • prevedere il pagamento di un assegno periodico a favore dei familiari conviventi, affinché essi non subiscano il pregiudizio dell’allontanamento del familiare che provvedeva al loro sostentamento. In questo caso, il giudice determina la misura dell’assegno tenendo conto delle circostanze e dei redditi dell’obbligato e stabilisce le modalità ed i termini del versamento. Può anche ordinare che il versamento sia effettuato direttamente dal datore di lavoro dell’obbligato, detraendolo dalla retribuzione a lui spettante, dal momento che l’ordine di pagamento ha efficacia di titolo esecutivo e pertanto permette di procedere direttamente con l’esecuzione ai fini della riscossione del dovuto.

L’allontanamento dalla casa familiare è una extrema ratio

Lo stato, negli anni, si è dotato di numerosi strumenti per rispondere alle esigenze delle famiglie, sia in termini di assistenza che di tutela. Avere il parere di un avvocato è sempre un ottimo punto di partenza per districarsi in un mondo di norme complesso e articolato. Se ne hai bisogno contatta il nostro studio: tutela i tuoi diritti.

Articolo scritto in collaborazione con l’avvocato Lucrezia Zacchi

abbandono degli animali

Abbandono degli animali e maltrattamento: gesti orribili e gravi illeciti!

La stagione delle ferie estive si sta aprendo, e molte persone già si mettono in viaggio per raggiungere le località di villeggiatura. Come ogni stagione, però, accanto alla dolcezza e alla bellezza che porta tornano problemi ciclici che la società civile è chiamata ad affrontare, e che nel caso dell’estate sono davvero molti e molto gravi. Ce n’è uno, però, particolarmente odioso, che ogni anno funesta le cronache: l’abbandono degli animali.

Come ogni anno, all’avvicinarsi delle ferie estive si moltiplicano gli episodi di abbandono da parte di cittadini a dir poco irresponsabili che, con il loro comportamento, commettono un danno alla collettività in termini di disordine e di sicurezza, oltre che, ovviamente, una crudeltà gratuita nei confronti dei loro compagni a quattro zampe, che in alcun caso meritano un trattamento tanto indegno.

Abbandono degli animali: cosa dice la legge?

L’abbandono degli animali è normato nel codice penale dall’Articolo 727. Questo articolo prevede che chiunque abbandoni animali domestici o che abbiano abitudini di cattività, ed ugualmente detenga animali in condizioni incompatibili con la loro natura che ne producano gravi sofferenze, venga punito con l’arresto fino a un anno o l’ammenda da 1.000 a 10.000 euro.

La legge considera quindi l’animale come essere vivente, a cui attribuire di conseguenza una serie di diritti. Presupposto questo, deve essere tutelato da tutte quelle attività dell’uomo che possono comportare l’inflizione di un dolore, se queste superano la normale soglia di tollerabilità.

Non solo il padrone!

Il reato di abbandono di animali può essere commesso da chiunque, quindi non solamente dal legittimo proprietario, ma anche da chi detenga occasionalmente l’animale.

Perché il reato sussista non è richiesto che la condotta di chi lo commette sia caratterizzata dalla volontà di infierire sull’animale. È sufficiente anche solamente un’omissione nei doveri di custodia e di cura. Si parla quindi in questo caso sia dell’elemento soggettivo del dolo che della colpa.

È un reato a forma libera, per cui può essere commesso con diverse modalità. Non essendovi una condotta tipicamente stigmatizzata, ad esempio dall’abbandonare l’animale in un luogo a fare in modo che l’animale possa scappare dal luogo in cui è custodito, il reato è procedibile d’ufficio. Questo significa che chiunque veda posto in essere un tale comportamento, potrà provvedere a farne denuncia presso le autorità competenti.

E invece, il caso del maltrattamento di animali?

Il maltrattamento degli animali è considerato diverso dall’abbandono, in quanto non punito solamente a titolo di semplice contravvenzione. È il reato di maltrattamento di animali, che punisce chi per crudeltà o senza necessità cagioni una lesione a un animale o lo sottoponga a sevizie o comportamenti insopportabili per le sue caratteristiche. Nella disposizione normativa è necessaria e fondamentale la coscienza del comportamento, sia commissivo che omissivo. Quindi sarà fondamentale che il colpevole scelga di commettere un gesto lesivo per l’animale, o di non mettere in opera un comportamento di cura che però è necessario al benessere dell’animale.

Non sono necessarie, quindi, delle lesioni fisiche. Quello che viene considerato, invece, è la sofferenza degli animali, che vengono tutelati quali esseri viventi in grado di percepire dolore.

La pena in questo caso è molto più grave: è prevista la reclusione da 3 a 18 mesi o la multa da 5.000 a 30.000 euro.

L’abbandono degli animali o il loro maltrattamento è un reato molto diffuso.

La consulenza di un legale per capire come funziona la legge è sempre consigliabile, e non solo in questo caso ma in molti altri! Se ne hai bisogno contatta il nostro studio: tutela i tuoi diritti.

Articolo scritto in collaborazione con l’avvocato Lucrezia Zacchi

Fatto tenue

Fatto tenue, una norma innovativa

Si sente dire spesso che la legge è inflessibile, che un reato è un reato e che l’azione penale è automatica. Eppure neppure quello della legge è un mondo di assoluti, e persino un procedimento penale può iniziare o meno, anche se sussiste il fatto reato, se vi sono particolari condizioni. Oggi si esamina il caso in cui il fatto, penalmente rilevante, è comunque di particolare tenuità

Cos’è un fatto tenue, e come lo si identifica

Il concetto è stato recentemente introdotto nel nostro codice penale. Nell’articolo in questione si prevede che, in determinate condizioni, un fatto, previsto dalla legge quale reato, comporti la non punibilità di chi lo commette per particolare tenuità. In parole povere, chi si rende responsabile di un reato può non essere punito in virtù della particolare tenuità del fatto.

La volontà deflattiva della norma, ossia la sua vocazione ad alleggerire il sistema giudiziario, è del tutto evidente. Lo scopo della norma infatti, è di giungere a una rapida soluzione, mediante un decreto di archiviazione o con una sentenza di assoluzione, di procedimenti iniziati nei confronti di soggetti che abbiano sì commesso un reato, ma da ritenere non punibili perché complessivamente lo si considera come un fatto tenue. La giustizia avrà così più risorse per affrontare processi più complessi, fermo restando la possibilità per la persona offesa di agire in sede civile per il risarcimento del danno.

E’ questa la portata innovativa della norma, che, in qualche modo, trova dei precedenti nel nostro ordinamento, dall’improcedibilità dell’azione penale qualora il fatto sia di particolare tenuità, fino all’irrilevanza del fatto quale causa di non luogo a procedere per il processo penale minorile. Ovviamente in quest’ultimo caso l’interesse è quello di tutelare il minore, mentre nel primo la volontà del legislatore è sempre quella deflattiva.

L’istituto del fatto tenue, in ogni caso, è di particolare interesse per chi viene coinvolto in fatti di penale rilevanza. Certo, questo a patto che si tratti di episodi del tutto lievi messi in essere senza un’effettiva volontà delinquenziale e comunque con modalità tali da non destare un grave allarme sociale.

Il vero problema è quello di comprendere quando possiamo considerare un fatto tenue.

Il legislatore ha posto un limite oggettivo per stabilire la tenuità del fatto. La normativa di cui abbiamo parlato, infatti, può applicarsi solo a fatti che prevedono una pena massima pari a cinque anni.

Al limite oggettivo poi si affianca un limite soggettivo: il fatto va considerato tenue tenendo conto delle modalità della condotta e dell’esiguità del danno o del pericolo che il reato ha cagionato. Per stabilire le modalità della condotta bisognerà basarsi sulla previsione di legge (HL art. 133 c.p.) e quindi, in definitiva, si considera un fatto tenue quando, “rispetto all’interesse tutelato, l’esiguità del danno o del pericolo che ne è derivato, nonché la sua occasionalità e il grado di colpevolezza non giustificano l’esercizio dell’azione penale” ( Cass. Pen. Fasc. 11, 2004, p. 3882).

Dalla modalità della condotta è possibile senza ombra di dubbio valutare l’intensità del dolo o della colpa.

La valutazione dell’esiguità del danno va fatta in concreto, nessuna precostituita preclusione categoriale è consentita. Questo perché, dovendosi compiere una valutazione sulla effettiva manifestazione del reato, sulle sue effettive conseguenze, non sono ammesse presunzioni.

“Non esiste un’offesa tenue o grave in chiave archetipa. E’ la concreta manifestazione del reato che ne segna il disvalore”.

Cass., sez. un., 25 febbraio (dep. 6 aprile) 2016, n. 13681, Tushaj

Il secondo e il terzo comma dell’art. 131 bis stabiliscono degli ulteriori limiti oggettivi che comportano la disapplicazione della norma. Affermano infatti che un fatto non può considerarsi di particolare tenuità se il reato è stato commesso per motivi abietti o futili, con crudeltà, anche verso animali. Ancora, adoperando sevizie, approfittando delle condizioni di minore capacità di difesa della vittima, o l’aver cagionato, anche come conseguenze non volute, la morte o lesioni gravissime ad una persona. Si tratta di una serie di limiti oggettivi che impediscono l’applicazione della norma e non lasciano spazio ad interpretazioni di sorta.

Il terzo comma, infine, prevede non sia possibile considerare tenue un danno quando il comportamento del reo possa considerarsi abituale. Si è in presenza di una norma tassativa di tipizzazione dell’abitualità. Ma mentre alcune indicazioni della norma sono chiare, atteso il riferimento ad istituti codicistici -delinquente abituale- appaiono più oscuri gli altri riferimenti.

La legge fa riferimento a più reati della stessa indole, ovvero che presentano caratteristiche comuni. Perché si possa parlare di reati della stessa indole, però, si deve essere almeno in presenza di illeciti così considerati sul piano giuridico. Parliamo quindi di comportamenti considerati reati perché hanno dato luogo a condanne o perché si trovano al cospetto del giudice. Infatti quei comportamenti che non hanno avuto rilievo giuridico non potranno mai dar luogo al concetto di abitualità, perché non sono mai stati portati al cospetto del giudice o addirittura delle Forze dell’Ordine.

Il comportamento va considerato abituale anche quando abbia ad oggetto condotte plurime, abituali o reiterate.

In questo ultimo caso siamo innanzi ad un solo fatto che abbia tuttavia ad oggetto più condotte, anche unite dal vincolo della continuazione. Si pensi per esempio a determinati reati, come i maltrattamenti in famiglia, che prevedono più condotte.

Ogni condotta, singolarmente considerata, potrebbe dirsi tenue, ma non lo è più quando il fatto è reiterato.

La concezione di fatto tenue ha sicuramente una portata innovativa, ma non rappresenta la volontà dell’ordinamento di rinunciare a perseguire chi compie un reato. Lo scopo, invece, è di evitare che fatti che non destano particolare allarme sociale e che possono trovare un’adeguata definizione in sede civile, vadano ad intasare la giustizia penale. Questo contribuisce a liberare risorse affinché il sistema giudiziario possa perseguire, invece, quelle condotte che effettivamente creano danni alla società.

L’argomento del fatto tenue è davvero molto complesso, tanto che spesso si configura allo scuro del reo. Per questo occorre sempre avvalersi del consiglio di un legale: rivolgiti al nostro studio se ne hai bisogno, la prima consulenza è senza impegno!

Articolo scritto in collaborazione con l’avvocato Marta Michelon

patteggiamento

Il patteggiamento

Quando si viene chiamati in giudizio esiste il modo di evitare il giudizio? La legge prevede la possibilità di accodarsi per trovare una soluzione che eviti le lungaggini e le spese di un processo? In effetti una procedura simile esiste: è quella che chiamiamo patteggiamento.

Il patteggiamento: di cosa stiamo parlando

Detto anche applicazione della pena su richiesta delle parti, il patteggiamento è un rito premiale, perché porta a una riduzione della pena prevista fino a un terzo, e eltresì un rito alternativo, in quanto si adotta a fronte della rinuncia allo svolgimento del giudizio.

Consiste in un accordo tra il pubblico ministero e l’imputato per la richiesta da sottoporre al giudice della pena che viene concordata in relazione al fatto oggetto di reato, purché si rientri nel limite finale di due anni di pena. Un’estensione temporale è possibile nel cosi detto patteggiamento allargato, che è stato  introdotto dalla legge n° 134 del 12/06/2003, con riferimento ai delitti e contravvenzioni per i quali sia applicabile, a seguito della riduzione, una pena detentiva superiore a due anni e un giorno ed inferiore a cinque anni.

Non solo una riduzione: le pene accessorie

Oltre alla riduzione, come sopra detto, fino a un terzo, prevede anche la mancata applicazione delle pene accessorie e la mancata condanna al pagamento delle spese processuali. Oltre a questo, prevede che la sentenza penale di applicazione della pena non abbia alcuna efficacia nei giudizi civili o amministrativi.

Un ulteriore vantaggio consiste nel fatto che il reato è estinto, quando è stata irrogata una pena detentiva non superiore a due anni soli o congiunti a pena pecuniaria, se nel termine di cinque anni (dal passaggio in giudicato della sentenza) quando la sentenza concerne un delitto, ovvero di due anni, quando la sentenza concerne una contravvenzione, l’imputato non commette un delitto ovvero una contravvenzione della stessa indole.

Quanto al momento in cui può essere richiesto, esso può essere adottato sia in fase di indagini preliminari, sia fino all’udienza preliminare o al dibattimento.

Richiedere un patteggiamento è una questione delicata

Per questo farsi assistere al meglio da un avvocato che possa consigliarti al meglio è fondamentale. Se hai bisogno di assistenza non esitare a contattare il nostro studio: tutela i tuoi diritti. 

Articolo scritto in collaborazione con l’avvocato Lucrezia Zacchi

messa alla prova

Messa alla prova, un modo costruttivo di estinguere un reato.

La giustizia non va in un’unica direzione. Se si è causato danno alla società tanto da venire sottoposti a un procedimento giudiziario, non esiste solo la pena detentiva o quella pecuniaria per espiare la propria colpa. Un’alternativa, relativamente nuova e di sicuro innovativa, è la sospensione del processo con messa alla prova.

In cosa consiste la messa alla prova

La sospensione del processo con messa alla prova viene introdotta con la legge 67 del 28 aprile 2017 ed è stata da ultimo oggetto di innovazione con il D.Lgs. 150/2022, la cosiddetta “Riforma Cartabia” . Il concetto di messa alla prova prevede lo svolgimento, da parte dell’imputato, di un programma di lavori di pubblica utilità in favore della collettività. Questo può essere svolto tramite attività di volontariato di rilievo sociale o presso istituzioni pubbliche, enti e strutture sanitarie.

La misura, però, non può essere concessa per ogni procedimento. Essa può essere concessa dal giudice per reati puniti con la pena della reclusione non superiore nel massimo a sei anni, estendendola dagli originari limiti edittali dei quattro anni. Questo purché si prestino a percorsi risocializzanti o riparatori da parte dell’autore compatibili con l’istituto. L’esito positivo comporta l’estinzione del reato, mentre l’esito negativo comporta la revoca della sospensione e la ripresa del procedimento.

Ma cosa è necessario fare per ottenere la sospensione del processo con messa alla prova, e quali sono i passaggi che la contraddistinguono?

Prima di tutto, l’imputato dovrà presentare una richiesta, personalmente o a mezzo di un procuratore speciale entro la prima udienza. Questa dovrà contenere la propria disponibilità, la situazione personale e familiare e l’attività lavorativa. Novità ulteriormente introdotta dalla Riforma è la possibilità  che detta proposta sia formulata anche dal Pubblico Ministero, oltre che dallo stesso imputato. Quest’ultimo può formulare la proposta anche nel corso delle indagini preliminari, indicando la durata ed i contenuti del programma, a cui l’indagato può aderire nel termine di venti giorni.

Inizia il programma di trattamento: come si svolge

A questo punto, il programma di trattamento viene elaborato di concerto con l’ufficio di esecuzione penale esterna. Il periodo di sospensione del procedimento può essere nel massimo uno o due anni, a seconda dei reati per cui si procede.

Una volta elaborato il programma, tenendo conto delle occupazioni lavorative e delle caratteristiche della persona imputata, viene eseguito. Infine, viene verificato l’esito del programma: se la prova ha esito positivo, il reato viene estinto. Se, invece, l’esito è negativo la sospensione viene revocata e il procedimento riprende.

Può capitare a tutti di incorrere in problemi legali, che a volte risultano in un processo a carico della persona a cui viene contestato l’illecito. Per ottenere la sospensione del processo con messa alla prova, comunque, il primo passo è rivolersi a un legale: contatta il nostro studioTutela i tuoi diritti!

Articolo scritto in collaborazione con l’avvocato Lucrezia Zacchi

testamento

Testamento o testamenti? Quanti tipi ne esistono? 

Non è sempre una questione di scaramanzia! Nella vita, si sa, vale la pena essere previdenti, per questo molte persone scelgono di disporre dei beni secondo la propria volontà e non secondo la devoluzione per legge. Le disposizioni di ultima volontà possono riguardare sia beni patrimoniali che non patrimoniali. Esiste un istituto legale che tutela la volontà dei defunti: il testamento

Altro non è se non un atto mediante il quale una persona lascia indicazione ai posteri su come disporre dei propri beni dopo la sua morte. Ve ne sono di diversi tipi, e rispondono a esigenze differenti e a differenti intenzioni da parte di chi lo redige, il testatore. Ecco i tipi di testamento contemplati dalla legge. 

1 – Il Testamento olografo 

Il testamento olografo consiste semplicemente in uno scritto redatto di propria mano dal testatore, in cui descrive quali siano le sue ultime volontà, quali beni lascia e a chi. 

2 – Il testamento pubblico 

Per testamento pubblico intendiamo invece un atto redatto da un notaio, che riceve la volontà del testatore alla presenza di due testimoni. 

3 – Il testamento segreto 

Il testamento segreto, invece, viene redatto dal testatore stesso o da un terzo. Qualora venga scritto dal testatore, deve essere sottoscritto, ossia firmato, dal suo autore. Se, invece, viene scritto o in tutto o in parte da altri, il testatore dovrà sottoscriverne ogni foglio. Questo atto va quindi chiuso, sigillato e consegnato dal testatore alla presenza di due testimoni, a un notaio che redigerà un verbale. 

4 – Testamenti speciali 

I testamenti speciali sono atti di disposizione di ultima volontà differenti da quelli ordinari, l’olografo, il pubblico o il segreto. Il testamento speciale ha caratteristiche differenti, dettate da situazioni particolari che possono accadere. Parliamo di testamenti redatti in condizioni di malattie contagiose, calamità o infortuni, a bordo di una nave o in aeromobile, da militari e assimilati. 

Questi atti, però, perdono efficacia dopo tre mesi dalla cessazione della causa che ha impedito la redazione del

testamento nelle forme ordinarie. 

5 – Il testamento internazionale 

Si tratta di una forma di testamento di istituzione piuttosto recente: fu introdotta nel 1990 nell’ambito della ratifica della Convenzione di Washington del 1973. 

Questo tipo di testamento ha lo scopo di rendere valide le disposizioni di ultima volontà dei cittadini stranieri residenti in Italia, questo sempre che il paese di origine abbia ratificato a sua volta la Convenzione di Washington. Al contempo, rende valide disposizioni di ultima volontà di cittadini italiani residenti in Italia o all’estro senza che abbia importanza il luogo dove si trovano i beni ereditari. 

Per atti del genere è sempre meglio farsi assistere

Il diritto successorio è una materia complessa che presenta molte insidie. Affidati a un professionista per gestire circostanze relative a questa materia: contatta il nostro studio, tutela i tuoi diritti! 

Articolo scritto in collaborazione con l’avvocato Alberto Padoan

sostanze stupefacenti

Sostanze stupefacenti, una legislazione complessa

Negli scorsi mesi, anche grazie a quesiti referendari che da decenni vengono proposti per iniziativa popolare, si è spesso discusso dell’opportunità o meno di depenalizzare la produzione e il consumo di determinate sostanze stupefacenti. La materia è estremamente complessa e, per comprendere il dibattito pubblico che ne scaturisce, occorre prima avere un quadro di cosa preveda la legislazione sul punto.

Sostanze stupefacenti: cosa dice la legge

La regolamentazione delle sostanze stupefacenti è contenuta nel D.P.R. 309 del 09.10.1990, “Testo Unico delle Leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza”.

Il Testo Unico prevede nei primi articoli i criteri di formazione delle Tabelle contenenti l’elenco delle sostanze, ordinate secondo una graduazione di maggiore o minore pericolosità, in base alla quale la disciplina penale ed amministrativa applica poi le rispettive sanzioni punitive.

Dalla produzione alla consumazione: gli effetti legali delle sostanze stupefacenti

Successivamente, vengono prese in considerazione le varie ipotesi di coltivazione, produzione, fabbricazione, distribuzione, vendita e acquisto delle sostanze stupefacenti.

Vediamo dapprima le fattispecie penali più rilevanti.

  • Art. 72: È consentito l’uso terapeutico di preparati medicinali a base di sostanze stupefacenti o psicotrope, debitamente prescritti secondo le necessità di cura in relazione alle particolari condizioni patologiche del soggetto.
  • Art. 73: chi coltiva, produce, vende, è punito con la reclusione da sei a venti anni e con la multa da euro 26.000 a euro 260.000. tuttavia, se quanto commesso è considerabile di lieve entità in considerazione delle circostanze, dei mezzi e delle modalità è punito con le pene della reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da euro 1.032 a euro 10.329.
  • Art. 74: nel caso di associazione di tre o più persone finalizzata al traffico illecito di sostanze è prevista la reclusione non inferiore ad anni 20.

Diversamente, prevede solamente una sanzione amministrativa il caso dell’art. 75, che disciplina l’uso personale, comportando la sospensione della patente di guida, della licenza del porto d’armi, del passaporto, per un periodo variabile da un mese a un anno in considerazione della sostanza

Come si accerta un abuso, e cosa succede una volta accertato

Ai fini dell’accertamento della destinazione ad uso esclusivamente personale della sostanza stupefacente o psicotropa o del medicinale, si tiene conto della quantità di sostanza che non deve essere superiore ai limiti massimi indicati con decreto del Ministro della salute, nonché della modalità di presentazione, avuto riguardo al peso lordo complessivo o al confezionamento frazionato ovvero ad altre circostanze dell’azione, da cui risulti che le sostanze sono destinate ad un uso esclusivamente personale.

Entro il termine di quaranta giorni dalla ricezione della segnalazione, il prefetto, se ritiene fondato l’accertamento, adotta apposita ordinanza convocando, anche a mezzo degli organi di polizia, dinanzi a sé o a un suo delegato, la persona segnalata per valutare, a seguito di colloquio, le sanzioni amministrative da irrogare e la loro durata. Avverso il decreto con il quale il prefetto irroga le sanzioni, può essere fatta opposizione dinanzi all’autorità giudiziaria ordinaria. 

Nel caso di particolare tenuità della violazione, quando ricorrono elementi tali da far presumere che la persona si asterrà, per il futuro, dal commetterli nuovamente, in luogo della sanzione, e limitatamente alla prima volta, il prefetto può definire il procedimento con il formale invito a non fare più uso delle sostanze stesse, avvertendo il soggetto delle conseguenze a suo danno.

L’abuso di sostanze stupefacenti produce comunque sempre effetti profondamente negativi

E non solo dal punto di vista della salute, ma anche in termini di conseguenze legali! Per questo, affidarci a un legale che ci assista è sempre la prima cosa da fare: se hai bisogno di assistenza, non esitare a contattare il nostro studio: tutela i tuoi diritti!

reato di diffamazione

Reato di diffamazione: i social complicano le cose!

Alle volte, una conversazione, un confronto o uno scambio di post sui social possono sfuggire di mano. In questi casi, però, è opportuno mantenere la calma ed evitare di passare alle parole pesanti, per non incorrere nel reato di diffamazione!

Il reato di diffamazione è un delitto purtroppo diffusissimo, che ricorre nelle circostanze più disparate e, per chi lo commette, spesso poco prevedibili!

Reato di diffamazione: cosa dice la legge.

La diffamazione, in qualità di reato, è punito con la reclusione fino a un anno oppure con una multa che può arrivare fino a 1032 euro. Queste previsioni sono aumentate nel caso in cui l’offesa consista in un fatto determinato, ossia nel caso in cui il contesto e le circostanze del caso concreto ci consentano di valutare se la fattispecie è aggravata o meno.

Allo stesso modo, le pene aumentano se l’offesa è arrecata a mezzo stampa o con un altro mezzo di pubblicità, oppure in un atto pubblico; infine, aumentano se l’offesa è arrecata a un corpo amministrativo o giudiziario.

Riassumendo, il reato di diffamazione punisce chi, comunicando con più persone, arrechi un’offesa in modo volontario a una persona assente.

Il bene tutelato, ovvero l’elemento che la legge tende a difendere, è la reputazione della persona, che la legge vuole, appunto, tutelare. Esistono però dei presupposti che devono coesistere contemporaneamente perché il reato si configuri.

  • Assenza della persona nel momento in cui viene arrecata l’offesa. C’è quindi impossibilità della persona interessata a difendersi. Questo elemento è dirimente rispetto al reato di ingiuria, che è simile, ma che si configura quando l’offesa avviene in presenza della persona, e che oggi è una fattispecie depenalizzata.
  • Offesa alla reputazione quale lesione delle qualità personali, morali, sociali o professionali.
  • Quando vi è la presenza di almeno due persone, o almeno di una che però la comunichi poi ad altre.

Reato di diffamazione e i social: un mezzo nuovo da comprendere.

Anche il reato di diffamazione evolve di pari passo con l’evolversi dei mezzi di comunicazione! Nel caso in cui esso venga consumato attraverso i social, per esempio, il reato si aggrava in quanto condotta commessa con altro mezzo di pubblicità.

Di per sé, il reato si consuma nel momento in cui terzi hanno percezione del messaggio offensivo, che viene veicolato nella consapevolezza di scrivere una frase lesiva dell’altrui reputazione. La condotta, infatti, potenzialmente è in grado di raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente elevato di persone.

Il reato di diffamazione si configura anche senza indicare esplicitamente il nome e il cognome della persona, sempre che questa sia individuabile da chi recepisce il messaggio offensivo.

Come ci si può difendere?

Semplicemente sporgendo querela. La persona offesa dovrà denunciare il reato alle autorità competenti entro tre mesi dal momento in cui il fatto è stato consumato.

Il reato di diffamazione è qualcosa di complesso!

In tutto questo, sia che ci si debba difendere o che si debba pretendere giustizia nel caso del reato di diffamazione, occorre dotarsi degli strumenti giusti e soprattutto della giusta assistenza!

Contatta il nostro studio per qualsiasi bisogno: tutela i tuoi diritti!

Articolo scritto in collaborazione con l’avvocato Marta Michelon