apolidi

Apolidi: chi sono, e cos’è l’apolidia

Albert Einstein lo fece davvero, e molti di noi lo hanno detto spesso, magari facendo una battuta o in una conversazione in cui si critica lo Stato, che vorremmo rinunciare i documenti e diventare apolidi. Ed effettivamente, Einstein lo fece esclusivamente per ragioni accademiche, ed è un bene che noi diciamo solo scherzando, perché l’apolidia è una condizione legale seria e complicata, una specie di limbo che la legge cerca di normare. Ma come?

Chi sono gli apolidi?

l’UNHCR – United Nations High Commissioner for Refugees ossia l’Agenzia ONU per i Rifugiati, tutela i diritti e il benessere dei rifugiati in tutto il mondo definisce un apolide (dal greco a-polis “senza città”) “… un uomo o una donna che non possiede la cittadinanza di nessuno Stato”.

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (SSUU 28873/2008) definiscono apolide 

“.. colui che si trova in un Paese di cui non è cittadino, provenendo da altro Paese del quale ha formalmente o sostanzialmente perso la cittadinanza, tanto che non vi può più rientrare in via definitiva”.

Nessuno è in grado di dire quanti siano gli apolidi nel mondo: si stima che siano circa 10 milioni. Alcuni apolidi sono anche rifugiati, ma non tutti i rifugiati sono apolidi e molti apolidi non hanno mai attraversato una frontiera. Gli Apolidi non sono stranieri perché gli stranieri appartengono ad un altro Stato mentre gli apolidi non hanno alcuna cittadinanza.

Un Apolide può non avere mai avuto una cittadinanza oppure averla persa nel corso della sua vita per diverse ragioni quali annullamento della cittadinanza da parte dello Stato, per ragioni politiche, etniche, di sicurezza o altro, oppure perdita di privilegi acquisiti in precedenza (per esempio la cittadinanza acquisita per matrimonio) o infine anche per rinuncia volontaria alla cittadinanza.

Come si ottiene il riconoscimento dello status di apolide?

La procedura amministrativa prevede che l’interessato si rivolga al Ministero dell’Interno per richiedere il riconoscimento dello status di apolide. La richiesta può essere inviata tramite raccomandata oppure presentata presso la Prefettura dove la persona risiede, si può quindi procedere anche senza un avvocato.

La procedura giudiziale, invece, necessità dell’assistenza di un avvocato, si svolge nelle forme del rito sommario di cognizione ed è di competenza del Tribunale sede della sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea del luogo in cui il ricorrente ha la dimora.

Nei giudizi aventi ad oggetto il riconoscimento dello “status” di apolide, il richiedente è tenuto ad allegare specificamente di non possedere la cittadinanza dello Stato o degli Stati con cui intrattenga o abbia intrattenuto legami significativi e di non essere nelle condizioni giuridiche e/o fattuali di ottenerne il riconoscimento alla luce dei sistemi normativi applicabili.

In questo tipo di procedimenti opera il c.d. principio dell’attenuazione dell’onere della prova con e conseguente obbligo di cooperazione istruttoria da parte del giudice del merito al fine di colmare lacune probatorie derivanti dalla necessità di conoscere specificamente i sistemi normativi o procedimentali riguardanti la cittadinanza negli Stati di riferimento e di assumere informazioni o svolgere approfondimenti istruttori presso le autorità competenti.

Garanzie di tutela del richiedente apolidia.

L’art. 31 della Convenzione di New York (Convenzione di New York del 28 settembre 1954, ratificata in Italia con legge n. 306/1962 che regola la materia) prevede la non espellibilità di un apolide se non nei casi di documentata sussistenza dei motivi di sicurezza nazionale e di ordine pubblico, si estende in via analogica anche alle situazioni di apolidia di fatto e/o nelle more del procedimento per accertare lo stato di apolidia, quando la situazione del soggetto emerge chiaramente dalle informazioni o dalla documentazione delle Autorità pubbliche competenti dello Stato italiano, di quello di origine o di quello verso il quale può ravvisarsi un collegamento significativo con il soggetto interessato.

Gli apolidi hanno bisogno di aiuto… ma non solo loro!

I casi in cui si ha bisogno di tutela e di aiuto legale per questioni legate alla cittadinanza, al permesso di soggiorno o a forme di assistenza od accoglienza internazionale. Se hai bisogno di aiuto da parte di un legale, rivolgiti al nostro studiotutela i tuoi diritti!

Articolo scritto in collaborazione con l’avvocato Maria Monica Bassan

affidamento del minore straniero

Affidamento del minore straniero e suo mantenimento: uno sguardo alla legge

Lo Stato agisce e norma gli aspetti più disparati della vita comune e personale di chi vive sotto la sua tutela. Uno degli aspetti in cui interviene è lo sforzo per garantire il benessere e lo sviluppo armonioso di una categoria molto particolare: i minori. Nel loro caso, ad esempio, il giudice definisce la soluzione migliore per l’ affidamento e mantenimento quando i due genitori si separano. Questo è ovvio quando il minore è cittadino italiano, ma se parliamo di affidamento di un minore straniero? Può un Giudice Italiano intervenire per stabilire l’affidamento di un minore che è cittadino di un altro Stato e quale legge applica?

Affidamento del minore straniero: un caso più frequente di quanto si pensi

In una società sempre più multietnica, l’avvocato si trova spesso ad affrontare questioni riguardanti la legge applicabile alla fattispecie concreta anche in caso di separazione e divorzio, ogni volta che la domanda contenga elementi di internazionalità perché i soggetti coinvolti non sono cittadini italiani e spesso sono cittadini extracomunitari.

In particolare , oggi, esamineremo la questione relativa all’affidamento e al mantenimento di un minore straniero stabilmente residente in Italia. La prima cosa che ci si deve chiedere, in questi casi, è se il Giudice Italiano possa decidere in merito all’affidamento e al mantenimento di un minore straniero che ha quale unico collegamento con il territorio italiano la circostanza che risiede stabilmente in Italia.

La risposta è senz’altro positiva sia per quanto concerne la responsabilità genitoriale sia per quanto concerne la domanda di mantenimento.

Cosa dice la legge in merito all’affidamento di un minore straniero

Stabilisce, infatti l’art. 8 del reg. CE n.2201/2003 che la competenza giurisdizionale spetta allo Stato in cui il minore ha la residenza stabile. Va ricordato, sul punto, che nel diritto europeo la nozione di residenza abituale corrisponde al luogo che denota una certa integrazione del minore in un ambiente sociale e familiare.  Questo significa che se un minore frequenta la scuola in Italia, o comunque vive stabilmente in Italia, indipendentemente dal fatto che abbia la residenza o meno nel territorio italiano, a decidere in merito alla responsabilità genitoriale senz’altro è competente il Giudice Italiano

Va anche detto che ciò che supporta questa affermazione è la circostanza che i provvedimenti in materia di minori devono essere valutati in relazione alla funzione svolta: se il provvedimento è volto a tutelare il minore, la norma da applicare sarà la Convenzione dell’Aja del 19.10.1996, che indica come criterio di collegamento la legge dello Stato di residenza abituale del minore.

Riassumendo: cosa può fare il giudice italiano?

Da quanto detto emerge, quindi, con chiarezza che se il minore straniero si trova stabilmente in Italia, indipendentemente dalla nazionalità dei genitori e dalla sua, a decidere in materia di responsabilità genitoriale sarà il Giudice Italiano e si applicherà la legge italiana.

La domanda di mantenimento dovrà, ugualmente, essere decisa dal Giudice Italiano facendo riferimento al Regolamento CE n.4/2009 relativo alla “competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni e alla cooperazione in materia di obbligazioni alimentari”.  Anche in questo caso dovrà applicarsi la legge italiana, e ciò perché la domanda di mantenimento è collegata a quella relativa alla responsabilità genitoriale.

L’affidamento del minore straniero e il suo mantenimento: una piccola grande parte di un complesso sistema legale

Il diritto legato all’immigrazione e, più in generale, la legge che norma la vita dei cittadini stranieri sul suolo italiano è veramente complessa. Per questo essere informati è senza dubbio qualcosa di positivo, ma non è sufficiente: in questi casi, l’assistenza di un legale specializzato è veramente essenziale. Se hai bisogno di supporto legale in materia di immigrazione rivolgiti al nostro studio: tutela i tuoi diritti!

Articolo realizzato in collaborazione con l’Avvocato Marta Michelon

riconoscimento delle sentenze

Il riconoscimento delle sentenze civili estere

Anche il diritto, quale prodotto umano, risponde alle esigenze di un mondo globalizzato e in continua evoluzione. In una società dove gli spostamenti di persone, merci e denaro sono, rispetto al passato, caratterizzati da una certa immediatezza, il consolidamento d’istituti giuridici di riconoscimento ed efficacia di atti stranieri è fattore imprescindibile nella regolamentazione rapporti.  Per questo anche il nostro sistema di diritto deve prevedere, in una certa misura, il riconoscimento delle sentenze civili estere. 

Riconoscimento delle sentenze: cosa dice il nostro ordinamento

Nel nostro ordinamento, le spinte all’apertura nei confronti delle sentenze emanate dai giudici stranieri, in contrapposizione a ciò che gli studiosi del diritto chiamano “nazionalismo giuridico”, sono state largamente accolte dalla Legge 218 del 1995 che accantona definitivamente il principio, già abrogato nei rapporti tra Stati aderenti alla Convenzione di Bruxelles del 1968, secondo il quale nessuna sentenza straniera poteva produrre effetti in Italia se non dopo essere stata sottoposta al particolare procedimento della delibazione. Nel 1995 è stata quindi introdotta nell’ordinamento l’automaticità del riconoscimento delle sentenze civili straniere in presenza di particolari requisiti, analiticamente fissati dall’articolo 64 della citata legge. 

Prima, tuttavia, di addentrarci nell’analisi delle questioni, è doverosa una precisazione. Grazie a numerosi interventi normativi, l’Unione Europea, seppur in modo imperfetto, tende ad essere per la giustizia un territorio più o meno omogeneo dove i criteri di riconoscimento ed esecuzione devono essere applicati allo stesso modo da tutti i giudici. Fuori dall’Unione invece il terreno è più frastagliato; talvolta esistono degli accordi bilaterali, mentre altre volte non vi è alcun dialogo tra gli ordinamenti. 

I rapporti di famiglia: un procedimento semplificato

In generale, l’ automatismo di cui si è detto è la regola, la sua contestazione è invece un’eccezione, motivo per cui il controllo dei sopracitati criteri non opera a priori, bensì è solo successivo ed eventuale. 

Per quanto riguarda le decisioni relative alla capacità delle persone, all’esistenza dei rapporti di famiglia e dei diritti della personalità – ad esempio quelle relative ai rapporti di filiazione, al matrimonio, al divorzio, etc, …- esse godono di una sorta di riconoscimento semplificato. Il meccanismo in questo caso è meno rigido in quanto la legge richiede esclusivamente che tali decisioni siano state emesse dall’autorità competente, nel rispetto dei diritti essenziali di difesa, e che non siano contrarie all’ordine pubblico.   

Si badi bene, quando un provvedimento riguarda lo stato civile di una persona, il riconoscimento automatico non esime l’interessato da chiederne la trascrizione presso il Comune competente. In questo caso sarà necessario esibire all’Ufficiale dello Stato Civile gli atti in originale, dotati di traduzione ufficiale e legalizzati dal Consolato italiano competente per la zona in cui sono stati formati.

Il riconoscimento delle sentenze civili estere è una questione delicata e di interesse pubblico

Il tema del riconoscimento, soprattutto in materia familiare, è pertanto strettamente connesso a quello della tutela dei diritti fondamentali dell’individuo, ragion per cui, considerate le tempistiche delle procedure, spesso molto lunghe, l’assistenza di un professionista può risultare decisiva. Se ne hai bisogno contatta il nostro studio: tutela i tuoi diritti!

paesi sicuri

Paesi sicuri e diritto alla protezione internazionale: posso chiedere asilo in Italia se vengo da un Paese sicuro?

Il 27 marzo 2023 sul sito governativo Integazionemigranti.gov.it è apparsa la comunicazione che il Governo italiano aveva aggiornato la lista dei cosiddetti Paesi sicuri.

Cosa sono i paesi sicuri?

In tema di protezione internazionale, il Decreto-legge 04.10.2018, n. 113, il cosiddetto decreto sicurezza, in sede di conversione aveva introdotto l’art. 2-bis, intitolato «Paesi di origine sicuri» nel provvedimento normativo italiano che disciplina sia le procedura per l’esame delle domande di protezione internazionale presentate In Italia sia quelle per la sua revoca e cessazione degli status riconosciuti. Esso consiste proprio in un elenco di Paesi extra Unione europea considerati sicuri per i loro cittadini perché rispettando degli standard di civiltà, democrazia e libertà.

Viene verificato che l’ordinamento giuridico di quel Paese escluda la sussistenza di atti di persecuzione forme di tortura o altre forme di pena o trattamento inumano o degradante, o pericolo a causa di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale che invece permetterebbero al migrante che chiede protezione internazionale in Italia di ottenere l’asilo, la protezione sussidiaria o altre forme di tutela.

IMPORTANTE: La classificazione di un Paese di origine come sicuro può essere fatta con l’eccezione di parti del territorio o di categorie di persone.

Posso presentare domanda di asilo in Italia se provengo da uno dei paesi sicuri?

Anche se il migrante proviene da un Paese classificato sicuro secondo la nostra legge, egli può comunque chiedere e ottenere protezione internazionale in Italia. Ci sono, però, differenze nella procedura rispetto ai cittadini di altri Paesi, come l’esame prioritario della domanda e la possibilità che questa sia dichiarata manifestamente infondata.

Ci sono, però, differenze nella procedura rispetto ai cittadini di altri Paesi, come l’esame prioritario della domanda e la possibilità che questa sia dichiarata manifestamente infondata. Il richiedente asilo, infatti, dovrà dimostrare che ci sono “gravi motivi” per considerare il suo rientro nel Paese di origine non sicura a causa della situazione particolare.

Chi decide se includere o meno una nazione nella lista dei paesi sicuri?

Lo decide il nostro Governo italiano, con un decreto interministeriale ossia un decreto ministeriale adottato dal Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, di concerto con i Ministri dell’Interno e della giustizia. Poi, ogni tanto, la lista viene aggiornata se lo scenario del Paese muta, come successo di recente

Il primo decreto è stato emanato il 4 ottobre 2019 e pubblicato nella Gazzetta ufficiale del 7 ottobre 2019 ed indicava come Paesi sicuri allora: Albania, Algeria, Bosnia-Erzegovina, Capo Verde, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Senegal, Serbia, Tunisia e Ucraina.

Come si fa a capire e decidere se un paese è sicuro o meno?

La valutazione si basa sulle informazioni fornite dalla Commissione nazionale per il diritto di asilo, che si avvale anche delle notizie elaborate dal centro di documentazione nonché’ su altre fonti di informazione, comprese in particolare quelle fornite da altri Stati membri dell’Unione europea, dall’EASO, dall’UNHCR, dal Consiglio d’Europa da altre organizzazioni internazionali competenti.

Si tengono in considerazioni diversi indici e la norma ne indica alcuni fondamentali:

a) le pertinenti disposizioni legislative e regolamentari del Paese ed il modo in cui sono applicate; 

b) il rispetto dei diritti e delle libertà stabiliti nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali , nel Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici aperto nella Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura

c) il rispetto del principio di cui all’articolo 33 della Convenzione di Ginevra che garantisce rifugio a chi rischia di essere deportato in un territorio in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate.

d) un sistema di ricorsi anche giurisdizionale e di difese effettive contro le violazioni di  tali diritti e libertà.

Adesso quali paesi sono considerati sicuri?

Con decreto del 17/03/2022 e pubblicato in g.u. il 25/03/2023, viene aggiornato l’elenco dei Paesi di origine sicuri: vengono aggiunti Nigeria, Gambia, Costa d’Avorio e Georgia ed espunta l’Ucraina, la Tunisia resta al suo posto.

La lista dei Paesi sicuri adesso è questa:

  • Albania;
  • Algeria;
  • Bosnia-Erzegovina;
  • Capo Verde;
  • Costa d’Avorio;
  • Gambia;
  • Georgia;
  • Ghana;
  • Kosovo;
  • Macedonia del Nord;
  • Marocco;
  • Montenegro;
  • Nigeria;
  • Senegal;
  • Serbia;
  • Tunisia.


Provenire da uno dei paesi sicuri è solo un aspetto di cui tenere conto

Il diritto, in tema di immigrazione e residenza per cittadini stranieri, è complesso e articolato, ed essere assistiti da un avvocato è davvero una necessità. Contatta il nostro studio se ne hai bisogno: tutela i tuoi diritti!

protezione temporanea

Protezione temporanea per gli sfollati ucraini, in cosa consiste e cosa prevede

Quando la guerra è alle porte dell’Europa, gli Stati europei rispondono uniti. Se in altri frangenti l’Unione, spesso, non ha mostrato un comportamento unitario facendo venir meno quel comune accordo che ne dovrebbe costituire l’essenza. Nella situazione attuale l’unità e l’identità di vedute sono chiare e inequivocabili per lo meno in un campo: la protezione temporanea. 

Per far fronte all’emergenza umanitaria scaturitasi dal conflitto in atto, il Consiglio dei ministri degli Interni dell’Unione Europea, il 4 marzo 2022, ha accertato e previsto “l’afflusso massiccio” di persone dal territorio ucraino. Si decide così di dare attivazione, per la prima volta nella storia dell’Unione, alla Direttiva 2001/55/CE. Una normativa adottata nel 2001 per gestire arrivi di profughi numerosi e ravvicinati.  

Grazie al sostegno finanziario dell’UE e alla cooperazione tra i vari Stati da marzo 2022 sono circa 4 milioni le persone che hanno ottenuto protezione immediata all’interno dei confini dell’Unione Europea.   

La protezione temporanea e il contenuto della Direttiva CE n. 55 del 2001

Gli elementi centrali della normativa sono due, ed emergono già dalla rubrica: le norme minime per la concessione della protezione temporanea e la promozione dell’equilibrio degli sforzi tra Stati membri nell’accogliere gli sfollati. Il testo della normativa rimarca quindi una duplice necessità, da un lato quella di gestire in modo adeguato e rapido l’accoglienza dei profughi, senza appesantire i sistemi di accoglienza nazionali. Dall’altro, invece, richiede agli Stati membri un sistema di solidarietà volto a garantire risposte coordinate all’emergenza. 

La direttiva elenca anche “i benefici concessi” ai titolari della protezione temporanea sul territorio nazionale dello Stato che ha rilasciato il titolo. Si parla di benefici e non tanto di diritti soggettivi, quasi a rimarcare la provvisorietà e l’eccezionalità della misura di protezione. Ad ogni modo, questi consistono nel rilascio del titolo di soggiorno, nella possibilità di esercitare attività lavorativa, nel diritto di accedere, se minorenne, al sistema educativo, e così via.  

La protezione temporanea è quindi una misura eccezionale

Nel quadro così delineato la protezione temporanea si traduce quindi nella concessione di un peculiare permesso di soggiorno rilasciato. In questo caso, ai cittadini ucraini residenti in Ucraina prima del 24 febbraio 2022, nonché ai titolari della protezione internazionale o di protezione equivalente in Ucraina prima del 24 febbraio 2022 e ai familiari di questi.  

Inizialmente tale permesso prevedeva una durata temporanea di un anno, ma attualmente, tutte le disposizioni urgenti di protezione temporanea per le persone provenienti dall’Ucraina, risultano prorogate sino al 31 dicembre. Viene altresì prorogato lo stato di emergenza dichiarato all’inizio della guerra per supportare le attività di assistenza e soccorso della popolazione ucraina.  

Dal punto di vista del singolo cittadino ucraino beneficiario di protezione temporanea, è previsto che anche la sola richiesta di permesso di soggiorno presentata alla competente Questura consente lo svolgimento di attività lavorativa, in forma subordinata, stagionale o autonoma. Inoltre, al titolare della protezione temporanea deve essere consentito di presentare domanda di protezione internazionale in qualunque momento.  

La compattezza dell’Unione Europea 

La guerra in Ucraina ha reso l’Unione Europea più compatta sotto molti punti di vista. Dall’imposizione delle sanzioni alla Russia, alle soluzioni sul piatto per l’approvvigionamento del gas ed infine nella gestione del flusso di sfollati ucraini. I mesi e gli anni che verranno saranno la prossima sfida per l’Ucraina e per l’Europa, nella speranza che la violenza della guerra cessi al più presto e che si possa ricostruire insieme un futuro migliore per tutti.  

Le dinamiche dell’ingresso in un paese UE: fra complessità e necessità

Le politiche migratorie nei paesi dell’Unione Europea sono complesse, ma sono orientate al benessere e alla protezione della persona. L’iter legale per risiedere legalmente in un paese come l’Italia, però, è complesso, e poter contare sulla consulenza di un legale specializzato è fondamentale. Se ne hai bisogno contatta il nostro studio: tutela i tuoi diritti!

Articolo scritto in collaborazione con la dottoressa Silvia Pellicani

nuova protezione speciale

Cenni sulla Nuova Protezione Speciale

La gestione dei flussi migratori è da sempre al centro del dibattito pubblico, e negli ultimi anni sembra quasi esserne diventata un’ossessione. Anche il governo attuale ha deciso di affrontare il fenomeno con una iniziativa legislativa propria, introducendo anche un concetto di nuova protezione speciale

Nuova protezione speciale: un accenno all’attualità

L’8 maggio 2023 in Gazzetta Ufficiale è stata pubblicata la dichiarazione dello Stato di Emergenza dove si cita “l’eccezionale incremento dei flussi di persone migranti in ingresso attraverso le rotte migratorie del Mediterraneo” alla luce della quale, per sei mesi dalla data della deliberazione, verranno adottate precise misure volte a gestire la “grande difficoltà derivante dalla saturazione del sistema di accoglienza nazionale”.

Non solo, è di pochi giorni la notizia della conversione in legge del D.L. 20/2023, meglio conosciuto come “Decreto Cutro” per mezzo del quale il Governo si è ripromesso di contenere e contrastare l’immigrazione irregolare, portando con sé l’effetto di restringere le garanzie dei richiedenti asilo e delle persone migranti in Italia. 

In cosa consiste il cosiddetto “Decreto Cutro”

Il provvedimento consta di una decina di articoli che affrontano diversi profili del fenomeno migratorio. Quello che ha attirato maggiormente l’attenzione è di certo quello relativo alla cosiddetta protezione speciale, una forma di protezione esclusiva dell’ordinamento interno italiano che negli ultimi anni ha assunto il ruolo di “tutela ad ombrello”. Questo peculiare istituto, nella sua formulazione originaria, oltre a garantire il divieto di espulsione del cittadino straniero, così come internazionalmente riconosciuto, tutelava altresì il rispetto degli obblighi internazionali e costituzionali dello Stato nonché degli articoli 3 e 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Questi ultimi erano relativi, rispettivamente, al divieto di tortura e di trattamenti inumani e degradanti e alla salvaguardia e al rispetto della vita privata e familiare. Ebbene, è proprio il riferimento a quest’ultimo diritto, ad essere stato recentemente soppresso, togliendo peso e importanza al processo di radicamento dello straniero nel territorio nazionale.

La nuova protezione speciale e i legami familiari

In realtà, nonostante l’eliminazione dei criteri volti all’accertamento del diritto di cui sopra, anche alla luce della recente giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo -che valorizza i legami familiari, la durata della presenza sul territorio nazionale e le relazioni sociali instaurate– e del catalogo aperto degli obblighi costituzionali o internazionali che gravano sullo Stato è indubbio che debba ancora darsi rilievo al radicamento sociale dello straniero quale diritto fondamentale dell’uomo.  

L’espulsione o il respingimento, qualora ricorrano gli obblighi di cui all’art. 5, comma 6, del Testo Unico per l’Immigrazione sono divieti assoluti e non derogabili. Pertanto, andrebbe ad ogni modo tenuto conto della natura e dell’effettività dei vincoli interpersonali e familiari dell’interessato, nonché della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale, indipendentemente dal maldestro tentativo del legislatore di eluderne l’essenza.  

L’emanazione del cosiddetto Decreto Cutro ha senza dubbio creato una situazione d’incertezza interpretativa. Questo espone le persone migranti al rischio di ulteriori stigmatizzazioni e discriminazioni e inevitabilmente al peso di procedure sempre più farraginose e cavillose. Si auspica tuttavia che, il complesso e rigido scheletro di norme poste a tutela della salvaguardia dei diritti fondamentali e il lavoro della giurisprudenza, saranno comunque in grado di proteggere dall’espulsione coloro che giungono nel nostro Paese in cerca di un futuro migliore.

L’assistenza legale è un bisogno imprescindibile per i migranti

Le modifiche all’istituto della protezione speciale rafforzano la necessità di assistenza legale per tutte quelle persone che decidono di abbandonare il proprio Paese e versano in situazioni di seria vulnerabilità. Il nostro studio conta su professionisti specializzati proprio in materia di diritto dell’immigrazione. Rivolgiti al nostro studio se ne hai necessità: tutela i tuoi diritti!

Articolo scritto in collaborazione con la dottoressa Silvia Pellicani

ricongiungimento familiare

Ricongiungimento familiare: il diritto all’unità familiare dei cittadini di Paesi terzi. 

La scelta, spesso obbligata, di lasciare il proprio Paese d’origine comporta inevitabilmente la dolorosa separazione dalla propria famiglia e dai propri cari. Per questo la normativa nazionale, in applicazione dei principi di diritto internazionale, prevede degli strumenti giuridici che permettono alle famiglie di ricongiungersi e d’integrarsi nel tessuto socioculturale italiano. Il testo unico sull’immigrazione riconosce agli stranieri regolarmente soggiornanti, compresi i rifugiati, il diritto al ricongiungimento familiare. Quest’ultimi, chiaramente, con opportune e dovute deroghe riconducibili alla loro peculiare situazione di vulnerabilità.

L’ordinamento dunque in alcuni casi garantisce l’accesso a una procedura amministrativa il cui iter si conclude con l’arrivo del parente in Italia con un apposito visto d’ ingresso, e con il successivo rilascio di un permesso di soggiorno per motivi di famiglia. 

Chi può chiedere il ricongiungimento familiare e in favore di chi

Secondo la  legge lo straniero può chiedere il ricongiungimento solo per alcuni familiari e solo qualora ricorrano particolari requisiti. Di norma il familiare da ricongiungere può essere il coniuge non legalmente separato e comunque maggiorenne, oppure il figlio minore, anche se nato fuori dal matrimonio, per il quale l’altro genitore abbia prestato consenso. 

Risulta invece più difficile ricongiungere i figli maggiorenni e i genitori a carico. In questi casi occorre dimostrare, nel primo caso, che non siano in grado di provvedere al proprio mantenimento per comprovate ragioni di salute. Nel secondo caso, invece, occorre distinguere se l’ascendente abbia più o meno di 65 anni. Infatti, nel caso degli ultrasessantacinquenni, occorre comprovare che l’eventuale prole rimasta nel paese di origine non sia in grado di contribuire al sostentamento dei genitori per gravi e documentati motivi di salute.

Per contro, nel caso in cui non ci siano altri figli, sarà comunque necessario dimostrare che il genitore è a proprio carico (salvo abbia più di 65 anni). Di fatto, il richiedente deve dimostrare di aver coperto le spese per il mantenimento del genitore nel paese di origine attraverso l’utilizzo di canali tracciabili per l’invio del denaro. Ai fini di una valutazione positiva sulla dipendenza economica del familiare, non essendo prevista alcuna soglia minima, sarà ovviamente necessaria, da parte della pubblica amministrazione, un’indagine attuale e precisa sul costo medio della vita nel paese di provenienza. 

Quali sono i requisiti per l’ottenimento del ricongiungimento familiare? 

Per ottenere il nullaosta al ricongiungimento, il richiedente dovrà disporre di un alloggio di cui chiedere l’idoneità abitativa, di un reddito sufficiente a mantenere il familiare che si vuole ricongiungere e di un’assicurazione sanitaria nel caso dell’ascendente ultrasessantacinquenne. Senza entrare troppo nel dettaglio, l’Ordinamento esige che il familiare da ricongiungere non gravi eccessivamente sui conti pubblici del paese di accoglienza. 

In realtà, vista l’onerosità dei requisiti di carattere economico-reddituale di cui si è appena detto, una particolare forma di tutela è prevista per i rifugiati, i quali sono esonerati da doverli comprovare in sede di presentazione dell’istanza.

Ad ogni modo, il rilascio del visto è subordinato all’accertamento dell’autenticità della documentazione comprovante i presupposti di parentela, anche per mezzo di esami medici come, ad esempio, quello del D.N.A.

La procedura 

La procedura per ottenere il ricongiungimento familiare si divide sostanzialmente in due fasi

In un primo momento sarà il richiedente soggiornante sul territorio italiano a chiedere il nullaosta allo Sportello Unico per l’Immigrazione, che ha il compito di accertare l’oggettiva sussistenza dei requisiti di natura economico-reddituale.

Rilasciato il nullaosta, il cittadino da ricongiungere dovrà rivolgersi alle Rappresentanze Consolari del Paese d’origine per la formalizzazione della domanda di visto e l’accertamento dei relativi requisiti soggettivi.

Infine, se entrambe le fasi hanno esito positivo, quando il familiare giunge in Italia, è tenuto a recarsi presso la competente Questura che gli rilascerà il permesso di soggiorno per motivi familiari. 

In ogni procedura, compreso il ricongiungimento familiare, possono esserci problemi e intoppi!

Qualora si riscontrassero delle problematiche durante il procedimento, come ad esempio la notifica di un preavviso di rigetto o una decisione di diniego, sarà necessario rivolgersi ad un legale che possa intervenire per far valere le ragioni del richiedente. 

Se hai bisogno di aiuto rivolgiti al nostro studio:  tutela i tuoi diritti! 

Articolo scritto in collaborazione con la dottoressa Silvia Pellicani

titolo di viaggio per stranieri

Titolo di viaggio per stranieri: tutela per la persona e per lo stato

Diamo spesso per scontata la libertà di poterci spostare da un Paese all’altro, abbiamo solo bisogno di un passaporto in corso di validità, e con un semplice biglietto aereo possiamo raggiungere la parte opposta del globo. Tuttavia, la maggior parte degli stranieri giunge in Europa senza documenti, mentre il Passaporto è fondamentale non solo ai fini di tutelare il diritto alla libertà di circolazione, bensì anche per garantire la continuità del soggiorno regolare in Italia. Dunque la necessità è semplice: un titolo di viaggio per stranieri

Titolo di viaggio per stranieri: perché non ce l’hanno tutti?

Ottenerlo non è sempre facile. Infatti, non tutti gli Stati hanno autorità consolari o diplomatiche in Italia, e l’assenza delle stesse può rendere gravoso il procedimento per il rilascio. Può capitare poi che gli apparati burocratici del paese di appartenenza rendano impossibile il suo conseguimento. Può accadere anche che lo straniero, beneficiario di protezione internazionale, non possa rivolgersi alle istituzioni del suo paese in quanto impossibilitato, alla luce del timore di persecuzione e del grave danno accertati in sede di rilascio del permesso di soggiorno, ad interloquire con le autorità del suo Paese di origine.  

La Legge Italiana, e la conseguente giurisprudenza in merito, in ottemperanza alla normativa comunitaria e internazionale, sono intervenute per superare questo empasse, prevedendo la possibilità di richiedere direttamente alle Questure un titolo equipollente al Passaporto, che prende il nome di “Titolo di Viaggio”.   

Il Titolo di Viaggio per stranieri, quindi, permette alla persona di viaggiare da un Paese all’altro, quando venga accertata l’impossibilità di richiedere il passaporto alle autorità competenti dello Stato di appartenenza, e ciò avviene fondamentalmente attraverso diverse modalità, le quali differiscono in ragione dello status del richiedente. 

Cosa dice la legge

In primo luogo, l’art. 24 del d.lgs. 251/2007 comma 1 conferisce ai rifugiati il diritto alla concessione, da parte della questura competente, di un documento di viaggio di durata quinquennale per consentire gli spostamenti al di fuori del territorio nazionale. In questo caso, quindi, non sarà necessario dimostrare l’assenza di autorità competenti dello Stato di appartenenza nel territorio italiano, proprio in ragione dell’accertato timore di persecuzione. Il rifugiato, viene protetto dall’ordinamento, senza che vi sia il rischio che possa entrare nuovamente in contatto con i fautori dell’oppressione e delle angherie subite, o comunque con uno Stato che non è stato in grado di proteggerlo da quanto patito. 

Quanto ai beneficiari di protezione sussidiaria, il comma 2° del medesimo articolo, prevede invece che l’emissione del titolo da parte della Questura, sia possibile solo dopo aver accertato l’impossibilità di richiedere il passaporto alle autorità diplomatiche e consolari del Paese di cittadinanza, e a tal proposito, è pacifico che, in virtù del ricorrere di rischio di danno grave così come delineato dell’art. 14 del d.lgs 251/2007, anche in questo caso lo straniero non possa interloquire con le autorità del suo Paese di origine, confermando la possibilità di richiedere il titolo direttamente alla Questura. 

Ottenuto il titolo di viaggio per stranieri, però…

Si badi bene, nei casi citati, e alla luce di quanto detto, una volta ottenuto il titolo di viaggio, non sarà ad ogni modo possibile il ritorno nel proprio Paese di origine. Invero, come detto, lo straniero non può essere sottoposto al rischio di essere nuovamente sottoposto ai soprusi sofferti ed è per questo che, nelle prime pagine del documento di viaggio rilasciato dalla Questura, verrà opportunamente segnalata l’impossibilità di farvi ritorno.

E per i titolari di un permesso di soggiorno per protezione speciale?  

In questo caso la legge è silente, ma grazie all’intervento del Consiglio di Stato, è oramai stato chiarito che 

“Gli stranieri che non possono ottenere il passaporto dalle autorità consolari del proprio paese hanno diritto al rilascio del titolo di viaggio, non solo quando l’impossibilità derivi dal rischio di avere contatti con le autorità del proprio paese d’origine ma anche quando si tratti di una impossibilità oggettiva derivante dalle prassi e dalla normativa del paese in questione”  

(Consiglio di Stato, Ordinanza, nr. 3552/2018).  

Pertanto, nel caso di specie sarà necessario dimostrare, tramite attestazione scritta, la sussistenza di ragioni soggettive o oggettive che ne impediscono il rilascio, e in tal senso l’assistenza di un legale può risultare imprescindibile.

Infine, si ricordi che, in tutti i casi descritti finora, la concessione di un documento di viaggio, come del resto del permesso di soggiorno, è chiaramente rifiutata nel caso in cui sussistano gravissimi motivi attinenti la sicurezza  nazionale e  l’ordine pubblico. 

Aiutare lo straniero nel dedalo della burocrazia

Ottenere un titolo di viaggio per stranieri è forse la più appariscente delle questioni burocratiche che animano la vita di uno straniero nel nostro paese. Come questa, anche le altre sono complesse e articolate, per questo è sempre il caso di farsi seguire da un legale. 

Se hai bisogno di assistenza contatta il nostro studio: tutela i tuoi diritti!

Articolo scritto in collaborazione con la dottoressa Silvia Pellicani

cittadinanza

Cittadinanza: possiamo perderla o rinunciarvi?

Il legame effettivo tra un individuo e uno Stato prende il nome di cittadinanza ed è presupposto essenziale per l’attribuzione di obblighi e diritti. Ogni Stato, in forza del principio della sovranità, ha ampia autonomia nell’individuare il proprio popolo e l’insieme dei propri cittadini, individuando i modi di acquisto e di perdita del c.d. status civitatis

Quanto alla perdita della cittadinanza, le legge italiana prevede tre particolari istituti:

  1. la  Perdita automatica in presenza di particolari condizioni
  2. la Rinuncia
  3. la Revoca.

Vediamoli nel dettaglio.

1 – Perdita automatica della cittadinanza

L’articolo 12 della legge 91/1992 prevede due casi in cui un cittadino può perdere la sua cittadinanza.

Al primo comma è descritto il caso in cui un cittadino italiano perda la propria quando, dopo aver accettato un impiego pubblico estero o da un ente internazionale a cui non partecipi l’Italia, o prestando servizio militare per un paese straniero, riceva intimazione da parte del Governo italiano ad abbandonare impiego, carica o servizio e non ottemperi nel termine fissato.

Al secondo comma si considera il caso in cui il cittadino italiano che abbia accettato o non abbia abbandonato un impiego o una carica pubblica, abbia prestato servizio militare senza esservi obbligato o abbia acquisito la cittadinanza volontariamente presso un paese con cui l’Italia si trovi in stato di guerra. In questo caso, al momento della cessazione delle ostilità, il soggetto perde la cittadinanza.

Il terzo caso è previsto all’art. 3 comma 3 e riguarda l’adottato qualora vi sia revoca dell’adozione per fatto a lui imputabile. Tuttavia, la perdita automatica non opera qualora lo stesso non sia in possesso di altra cittadinanza, né può riacquistarla.

 2 – Rinuncia alla cittadinanza

Si tratta del caso in cui un soggetto ritiene volontariamente di non voler più essere cittadino italiano.

Questo può succedere nel caso in cui un cittadino italiano, già in possesso di una cittadinanza straniera, può decidere di rinunciare alla cittadinanza italiana qualora risieda o stabilisca la sua residenza all’estero. Non è però obbligato a farlo: il cittadino può avere doppia cittadinanza, e non vi è una perdita automatica per l’acquisto di una cittadinanza straniera o per il trasferimento della residenza all’estero.  Per rinunciarvi, dovrà presentare una dichiarazione di rinuncia all’autorità diplomatica o consolare italiana nel paese di residenza. Questo, chiaramente, se non è già stabilita la perdita automatica come espressione di accordi internazionali pregressi.

I figli minori di chi acquista o riacquista la cittadinanza italiana, se con esso conviventi, seguono le sorti del genitore, ma una volta raggiunta la maggiore età, se in possesso di un’altra cittadinanza, possono rinunciarvi.

Quando un minore viene adottato da un cittadino italiano, ne acquista la cittadinanza, ma se, al sopraggiungere della maggiore età, l’adozione viene revocata non come conseguenza di un comportamento dell’adottato, questi resta cittadino italiano. Potrà però rinunciare alla cittadinanza italiana entro un anno dalla revoca dell’adozione, purché sia in possesso di un’altra cittadinanza o la riacquisti.

3 – Revoca

La cittadinanza italiana può, infine, essere revocata, ossia tolta a un soggetto che l’abbia acquisita, come conseguenza di un comportamento delittuoso.

L’articolo 10 bis introdotto nel decreto-legge 113/2018 recita:

“La cittadinanza italiana acquisita ai sensi degli articoli 4, comma 2, 5 e 9, è revocata in caso di condanna definitiva per i reati previsti dall’articolo 407, comma 2, lettera a), n. 4), del codice di procedura penale, nonché’ per i reati di cui agli articoli 270-ter e 270-quinquies.2, del codice penale. La revoca della cittadinanza è adottata, entro tre anni dal passaggio in giudicato della sentenza di condanna per i reati di cui al primo periodo, con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell’interno”

Questo articolo si applica solo nell’ ipotesi in cui la cittadinanza sia stata acquisita successivamente alla nascita, con il compimento della maggiore età.

La revoca interviene nel caso in cui il cittadino sia stato condannato in via definitiva per:

  • reati commessi con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordinamento costituzionale, per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni o nel massimo a dieci anni;
  • assistenza agli associati, ovvero per aver dato o fornito loro rifugio, vitto, ospitalità, mezzi di trasporto e strumenti di comunicazione a persone facenti parte di associazioni sovversive, con fini di eversione dell’ordine democratico o di terrorismo anche internazionale. 
  • avere sottratto, distrutto, disperso, soppresso o deteriorato beni o denaro sottoposti a sequestro per prevenire il finanziamento delle condotte con finalità di terrorismo.  

Le procedure relative alla perdita e all’acquisizione della cittadinanza italiana possono rivelarsi complesse, per cui l’assistenza di un legale è essenziale. Contatta il nostro studio: la prima consulenza è senza impegno. 

Essere cittadini è un aspetto importante dell’identità giuridica della persona

Si tratta di una materia molto delicata, che richiede professionalità se deve essere gestita. Se hai bisogno di assistenza per questioni legate alla tua cittadinanza, rivolgiti al nostro studio: tutela i tuoi diritti!

Articolo realizzato in collaborazione con la dottoressa Silvia Pellicani

protezione speciale

Protezione Speciale: che cos’è, e come funziona?

 L’emergenza migratoria, accentuata dalla guerra in Ucraina, non è un fenomeno nuovo. Ormai l’emergenza può considerarsi sistemica, ma la risposta che da il nostro paese è sempre oggetto di grandi discussioni politiche. Risente, storicamente, digli orientamenti ideologici dei nostri legislatori. Fondamentale è  l’art.19 del d.lgs. 286/1998 in cui troviamo la protezione speciale, riformata con il Decreto Lamorgese, d.l. 130/2020 convertito in legge 173/2020.

Si tratta di un istituto nuovo?

Chi ha criticato l’eliminazione della protezione umanitaria operata dal Decreto Salvini, ha visto nella protezione speciale una sua reviviscenza, seppur con una denominazione diversa. Vediamo se è vero… 

Dal punto di vista legale, la protezione umanitaria nasce nel 1993, con la legge n. 388, con cui il legislatore ha previsto, per la prima volta, che non possa rifiutarsi o revocarsi un permesso di soggiorno quando ricorrono “seri motivi in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano”

Il tenore di questa norma è stato replicato nel Testo unico dell’immigrazione all’art. 5 comma 6nei seri motivi potevano rientrare quelle ipotesi in cui il giudice ordinario dava rilevanza alla situazione familiare del richiedente, nell’ottica del diritto al rispetto della vita privata e familiare sancito dall’art. 8 della CEDU, all’insicurezza del paese di origine o alle gravi condizioni psico-fisiche o patologiche non curabili adeguatamente nel paese di provenienza.

Come ha poi meglio spiegato la Cassazione, occorreva 

“operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine, in raffronto alla situazione di integrazione raggiunta nel paese di accoglienza”.

Sentenza n.4455/2018

Questa attività di raffronto ha portato al riconoscimento di un titolo di soggiorno residuale, quando i presupposti per la protezione internazionale mancavano. Nel 2015, a 18 anni dalla sua nascita, le ipotesi di protezione umanitaria costituivano il 28,2% del totale di permessi di soggiorno (dati ISTAT).

Il Decreto c.d. Salvini ha provveduto a eliminare dall’ordinamento ogni riferimento alla protezione umanitaria, stralciando il comma 6 dell’art. 5 e lasciando sul tavolo pochi casi tipizzati in cui era – ed è ancora – possibile riconoscere il diritto ad un permesso di soggiorno. 

In particolare, il d.l. 113/2018 ha introdotto la “protezione speciale” con un campo di applicazione molto più limitato da quello che conosciamo oggi: la protezione speciale serviva a coprire quelle ipotesi in cui operava, con margine piuttosto risicato, il divieto di refoulement, ossia il principio per cui non è ammesso il respingimento o l’espulsione del soggetto la cui vita o libertà, in caso di trasferimento, sarebbe in pericolo a causa della sua razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche

Come si nota, la condizione di integrazione sociale non veniva presa in considerazione.

Qual è allora la novità della protezione speciale riformata dal Decreto Lamorgese?

Oltre al reinserimento del comma 6 dell’art. 5, la vera innovazione è nella riforma dell’art. 19 che amplia le ipotesi di divieto di respingimento, espulsione ed estradizione e di conseguenza le ipotesi in cui il riconoscimento di una forma di protezione è necessario.

Di particolare interesse è l’esplicito riferimento all’art. 8 CEDU, a cui l’art. 19 comma 1.1 si riferisce dicendo che non sono ammessi il respingimento o l’espulsione di una persona verso uno Stato qualora esistano fondati motivi di ritenere che l’allontanamento dal territorio nazionale comporti una violazione del diritto al rispetto della propria vita privata e familiare”

Su quali aspetti puntare per ottenere la protezione speciale?

La risposta è sempre nell’art. 19, per cui ai fini della valutazione del rischio di violazione si tiene conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell’interessato. Si considera anche il suo effettivo inserimento sociale in Italia, la durata del suo soggiorno nel territorio nazionale nonché l’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese d’origine. Si tratta di un’ipotesi che premia l’integrazione sociale dello straniero in Italia. 

E allora dove la si può chiedere?

Il testo della norma, al comma 1.2, prevede due ipotesi. La prima è quella per cui, nel caso di rigetto della domanda di protezione internazionale, ci siano comunque i presupposti del comma 1 e 1.1. di cui la Commissione Territoriale tiene conto per trasmettere gli atti al Questore che rilascerà il permesso di soggiorno. 

La seconda modalità è quella che ha suscitato più dubbi perché riguarda l’ipotesi in cui lo straniero, recandosi in Questura per chiedere il rilascio di un permesso di soggiorno per altro motivo, sussistendo i requisiti del comma 1 e 1.1., previo parere favorevole della Commissione territoriale, si vede rilasciare un permesso di soggiorno per protezione speciale. 

Ci si chiede allora quale sia il canale corretto per rivolgersi al Questore: nel dubbio, qualcuno ha presentato l’istanza direttamente al Questore, allegando gli elementi visti sopra, altri hanno inserito l’istanza in una domanda reiterata di protezione internazionale, avviando in quel caso un nuovo procedimento per il suo riconoscimento, con tutti i rischi di vedersi rispondere con l’inammissibilità della reiterata per carenza di nuovi motivi (ex art. 29 d.lgs. 25/2008).

La Circolare del Ministero dell’Interno diramata il 19 marzo 2021 ha cercato di fare chiarezza, declassando come irricevibili le istanze di permesso di soggiorno protezione speciale presentate in via autonoma e diretta al Questore.  Nella Circolare si spiega che il permesso di soggiorno per protezione speciale, viene rilasciato quando lo straniero si sia presentato in Questura per ottenere un permesso di soggiorno di tipo diverso, anche in questo caso previa acquisizione del parere della Commissione Territoriale e sussistendo i requisiti di cui al comma 1 e 1.1 dell’art. 19.

Cosa succede una volta ottenuto il permesso di soggiorno per protezione speciale?

Il permesso di soggiorno per protezione speciale ha durata biennale (art. 32, comma 3 d.lgs 25/2008) ed è convertibile, nel caso sia rilasciato all’interno di una domanda di protezine internazionale, in permesso di soggiorno per motivi di lavoro (art. 6 1-bis T.U.I.). In quest’ottica è chiaro che l’ottenimento di questo permesso favorisce la regolarizzazione dello straniero nel lungo periodo: una volta trovato un impiego stabile con un contratto concluso sulla base di un permesso di soggiorno per protezione speciale, sarà possibile convertire il titolo in un permesso per motivi di lavoro, di durata variabile a seconda del tipo di contratto di lavoro e a sua volta rinnovabile. 

Quando scatta, invece, l’espulsione del cittadino straniero? E come si fa a difendersi da un decreto di espulsione? Scoprilo qui!

Quella del diritto legato all’immigrazione è una materia complessa e affascinante

Spesso, però, non si hanno gli strumenti per districarsi nel dedalo delle leggi che la compongono. Per questo è sempre meglio rivolgersi a un professionista: se hai bisogno di assistenza contatta il nostro studio, tutela i tuoi diritti!

Articolo scritto in collaborazione con l’avvocato Maria Monica Bassan