titolo di viaggio per stranieri

Titolo di viaggio per stranieri: tutela per la persona e per lo stato

Diamo spesso per scontata la libertà di poterci spostare da un Paese all’altro, abbiamo solo bisogno di un passaporto in corso di validità, e con un semplice biglietto aereo possiamo raggiungere la parte opposta del globo. Tuttavia, la maggior parte degli stranieri giunge in Europa senza documenti, mentre il Passaporto è fondamentale non solo ai fini di tutelare il diritto alla libertà di circolazione, bensì anche per garantire la continuità del soggiorno regolare in Italia. Dunque la necessità è semplice: un titolo di viaggio per stranieri

Titolo di viaggio per stranieri: perché non ce l’hanno tutti?

Ottenerlo non è sempre facile. Infatti, non tutti gli Stati hanno autorità consolari o diplomatiche in Italia, e l’assenza delle stesse può rendere gravoso il procedimento per il rilascio. Può capitare poi che gli apparati burocratici del paese di appartenenza rendano impossibile il suo conseguimento. Può accadere anche che lo straniero, beneficiario di protezione internazionale, non possa rivolgersi alle istituzioni del suo paese in quanto impossibilitato, alla luce del timore di persecuzione e del grave danno accertati in sede di rilascio del permesso di soggiorno, ad interloquire con le autorità del suo Paese di origine.  

La Legge Italiana, e la conseguente giurisprudenza in merito, in ottemperanza alla normativa comunitaria e internazionale, sono intervenute per superare questo empasse, prevedendo la possibilità di richiedere direttamente alle Questure un titolo equipollente al Passaporto, che prende il nome di “Titolo di Viaggio”.   

Il Titolo di Viaggio per stranieri, quindi, permette alla persona di viaggiare da un Paese all’altro, quando venga accertata l’impossibilità di richiedere il passaporto alle autorità competenti dello Stato di appartenenza, e ciò avviene fondamentalmente attraverso diverse modalità, le quali differiscono in ragione dello status del richiedente. 

Cosa dice la legge

In primo luogo, l’art. 24 del d.lgs. 251/2007 comma 1 conferisce ai rifugiati il diritto alla concessione, da parte della questura competente, di un documento di viaggio di durata quinquennale per consentire gli spostamenti al di fuori del territorio nazionale. In questo caso, quindi, non sarà necessario dimostrare l’assenza di autorità competenti dello Stato di appartenenza nel territorio italiano, proprio in ragione dell’accertato timore di persecuzione. Il rifugiato, viene protetto dall’ordinamento, senza che vi sia il rischio che possa entrare nuovamente in contatto con i fautori dell’oppressione e delle angherie subite, o comunque con uno Stato che non è stato in grado di proteggerlo da quanto patito. 

Quanto ai beneficiari di protezione sussidiaria, il comma 2° del medesimo articolo, prevede invece che l’emissione del titolo da parte della Questura, sia possibile solo dopo aver accertato l’impossibilità di richiedere il passaporto alle autorità diplomatiche e consolari del Paese di cittadinanza, e a tal proposito, è pacifico che, in virtù del ricorrere di rischio di danno grave così come delineato dell’art. 14 del d.lgs 251/2007, anche in questo caso lo straniero non possa interloquire con le autorità del suo Paese di origine, confermando la possibilità di richiedere il titolo direttamente alla Questura. 

Ottenuto il titolo di viaggio per stranieri, però…

Si badi bene, nei casi citati, e alla luce di quanto detto, una volta ottenuto il titolo di viaggio, non sarà ad ogni modo possibile il ritorno nel proprio Paese di origine. Invero, come detto, lo straniero non può essere sottoposto al rischio di essere nuovamente sottoposto ai soprusi sofferti ed è per questo che, nelle prime pagine del documento di viaggio rilasciato dalla Questura, verrà opportunamente segnalata l’impossibilità di farvi ritorno.

E per i titolari di un permesso di soggiorno per protezione speciale?  

In questo caso la legge è silente, ma grazie all’intervento del Consiglio di Stato, è oramai stato chiarito che 

“Gli stranieri che non possono ottenere il passaporto dalle autorità consolari del proprio paese hanno diritto al rilascio del titolo di viaggio, non solo quando l’impossibilità derivi dal rischio di avere contatti con le autorità del proprio paese d’origine ma anche quando si tratti di una impossibilità oggettiva derivante dalle prassi e dalla normativa del paese in questione”  

(Consiglio di Stato, Ordinanza, nr. 3552/2018).  

Pertanto, nel caso di specie sarà necessario dimostrare, tramite attestazione scritta, la sussistenza di ragioni soggettive o oggettive che ne impediscono il rilascio, e in tal senso l’assistenza di un legale può risultare imprescindibile.

Infine, si ricordi che, in tutti i casi descritti finora, la concessione di un documento di viaggio, come del resto del permesso di soggiorno, è chiaramente rifiutata nel caso in cui sussistano gravissimi motivi attinenti la sicurezza  nazionale e  l’ordine pubblico. 

Aiutare lo straniero nel dedalo della burocrazia

Ottenere un titolo di viaggio per stranieri è forse la più appariscente delle questioni burocratiche che animano la vita di uno straniero nel nostro paese. Come questa, anche le altre sono complesse e articolate, per questo è sempre il caso di farsi seguire da un legale. 

Se hai bisogno di assistenza contatta il nostro studio: tutela i tuoi diritti!

Articolo scritto in collaborazione con la dottoressa Silvia Pellicani

protezione speciale

Protezione Speciale: che cos’è, e come funziona?

 L’emergenza migratoria, accentuata dalla guerra in Ucraina, non è un fenomeno nuovo. Ormai l’emergenza può considerarsi sistemica, ma la risposta che da il nostro paese è sempre oggetto di grandi discussioni politiche. Risente, storicamente, digli orientamenti ideologici dei nostri legislatori. Fondamentale è  l’art.19 del d.lgs. 286/1998 in cui troviamo la protezione speciale, riformata con il Decreto Lamorgese, d.l. 130/2020 convertito in legge 173/2020.

Si tratta di un istituto nuovo?

Chi ha criticato l’eliminazione della protezione umanitaria operata dal Decreto Salvini, ha visto nella protezione speciale una sua reviviscenza, seppur con una denominazione diversa. Vediamo se è vero… 

Dal punto di vista legale, la protezione umanitaria nasce nel 1993, con la legge n. 388, con cui il legislatore ha previsto, per la prima volta, che non possa rifiutarsi o revocarsi un permesso di soggiorno quando ricorrono “seri motivi in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano”

Il tenore di questa norma è stato replicato nel Testo unico dell’immigrazione all’art. 5 comma 6nei seri motivi potevano rientrare quelle ipotesi in cui il giudice ordinario dava rilevanza alla situazione familiare del richiedente, nell’ottica del diritto al rispetto della vita privata e familiare sancito dall’art. 8 della CEDU, all’insicurezza del paese di origine o alle gravi condizioni psico-fisiche o patologiche non curabili adeguatamente nel paese di provenienza.

Come ha poi meglio spiegato la Cassazione, occorreva 

“operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine, in raffronto alla situazione di integrazione raggiunta nel paese di accoglienza”.

Sentenza n.4455/2018

Questa attività di raffronto ha portato al riconoscimento di un titolo di soggiorno residuale, quando i presupposti per la protezione internazionale mancavano. Nel 2015, a 18 anni dalla sua nascita, le ipotesi di protezione umanitaria costituivano il 28,2% del totale di permessi di soggiorno (dati ISTAT).

Il Decreto c.d. Salvini ha provveduto a eliminare dall’ordinamento ogni riferimento alla protezione umanitaria, stralciando il comma 6 dell’art. 5 e lasciando sul tavolo pochi casi tipizzati in cui era – ed è ancora – possibile riconoscere il diritto ad un permesso di soggiorno. 

In particolare, il d.l. 113/2018 ha introdotto la “protezione speciale” con un campo di applicazione molto più limitato da quello che conosciamo oggi: la protezione speciale serviva a coprire quelle ipotesi in cui operava, con margine piuttosto risicato, il divieto di refoulement, ossia il principio per cui non è ammesso il respingimento o l’espulsione del soggetto la cui vita o libertà, in caso di trasferimento, sarebbe in pericolo a causa della sua razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche

Come si nota, la condizione di integrazione sociale non veniva presa in considerazione.

Qual è allora la novità della protezione speciale riformata dal Decreto Lamorgese?

Oltre al reinserimento del comma 6 dell’art. 5, la vera innovazione è nella riforma dell’art. 19 che amplia le ipotesi di divieto di respingimento, espulsione ed estradizione e di conseguenza le ipotesi in cui il riconoscimento di una forma di protezione è necessario.

Di particolare interesse è l’esplicito riferimento all’art. 8 CEDU, a cui l’art. 19 comma 1.1 si riferisce dicendo che non sono ammessi il respingimento o l’espulsione di una persona verso uno Stato qualora esistano fondati motivi di ritenere che l’allontanamento dal territorio nazionale comporti una violazione del diritto al rispetto della propria vita privata e familiare”

Su quali aspetti puntare per ottenere la protezione speciale?

La risposta è sempre nell’art. 19, per cui ai fini della valutazione del rischio di violazione si tiene conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell’interessato. Si considera anche il suo effettivo inserimento sociale in Italia, la durata del suo soggiorno nel territorio nazionale nonché l’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese d’origine. Si tratta di un’ipotesi che premia l’integrazione sociale dello straniero in Italia. 

E allora dove la si può chiedere?

Il testo della norma, al comma 1.2, prevede due ipotesi. La prima è quella per cui, nel caso di rigetto della domanda di protezione internazionale, ci siano comunque i presupposti del comma 1 e 1.1. di cui la Commissione Territoriale tiene conto per trasmettere gli atti al Questore che rilascerà il permesso di soggiorno. 

La seconda modalità è quella che ha suscitato più dubbi perché riguarda l’ipotesi in cui lo straniero, recandosi in Questura per chiedere il rilascio di un permesso di soggiorno per altro motivo, sussistendo i requisiti del comma 1 e 1.1., previo parere favorevole della Commissione territoriale, si vede rilasciare un permesso di soggiorno per protezione speciale. 

Ci si chiede allora quale sia il canale corretto per rivolgersi al Questore: nel dubbio, qualcuno ha presentato l’istanza direttamente al Questore, allegando gli elementi visti sopra, altri hanno inserito l’istanza in una domanda reiterata di protezione internazionale, avviando in quel caso un nuovo procedimento per il suo riconoscimento, con tutti i rischi di vedersi rispondere con l’inammissibilità della reiterata per carenza di nuovi motivi (ex art. 29 d.lgs. 25/2008).

La Circolare del Ministero dell’Interno diramata il 19 marzo 2021 ha cercato di fare chiarezza, declassando come irricevibili le istanze di permesso di soggiorno protezione speciale presentate in via autonoma e diretta al Questore.  Nella Circolare si spiega che il permesso di soggiorno per protezione speciale, viene rilasciato quando lo straniero si sia presentato in Questura per ottenere un permesso di soggiorno di tipo diverso, anche in questo caso previa acquisizione del parere della Commissione Territoriale e sussistendo i requisiti di cui al comma 1 e 1.1 dell’art. 19.

Cosa succede una volta ottenuto il permesso di soggiorno per protezione speciale?

Il permesso di soggiorno per protezione speciale ha durata biennale (art. 32, comma 3 d.lgs 25/2008) ed è convertibile, nel caso sia rilasciato all’interno di una domanda di protezine internazionale, in permesso di soggiorno per motivi di lavoro (art. 6 1-bis T.U.I.). In quest’ottica è chiaro che l’ottenimento di questo permesso favorisce la regolarizzazione dello straniero nel lungo periodo: una volta trovato un impiego stabile con un contratto concluso sulla base di un permesso di soggiorno per protezione speciale, sarà possibile convertire il titolo in un permesso per motivi di lavoro, di durata variabile a seconda del tipo di contratto di lavoro e a sua volta rinnovabile. 

Quando scatta, invece, l’espulsione del cittadino straniero? E come si fa a difendersi da un decreto di espulsione? Scoprilo qui!

Quella del diritto legato all’immigrazione è una materia complessa e affascinante

Spesso, però, non si hanno gli strumenti per districarsi nel dedalo delle leggi che la compongono. Per questo è sempre meglio rivolgersi a un professionista: se hai bisogno di assistenza contatta il nostro studio, tutela i tuoi diritti!

Articolo scritto in collaborazione con l’avvocato Maria Monica Bassan

decreto di espulsione

Decreto di espulsione: che cos’è?

Per qualcuno è la fine di una speranza, per altri un esercizio di sovranità e di tutela dei cittadini. Sicuramente, comunque lo intendiate, il concetto di “Espulsione” è uno dei più abusati nel campo della comunicazione politica, e spesso uno degli istituti legali più fraintesi se non addirittura travisati dall’opinione pubblica, per non parlare dell’idea che se ne fa chi ne viene direttamente colpito! Innanzitutto, in cosa consiste di preciso un decreto di espulsione?

Il Decreto di Espulsione, emesso dalla Prefettura prevede l’allontanamento di uno straniero dal territorio della Repubblica Italiana.

Dev’essere notificato direttamente allo straniero, in una lingua a lui comprensibile o da lui scelta fra inglese, francese e spagnolo. Dopo il Decreto di Espulsione, il Questore notifica un ulteriore provvedimento che obbliga l’interessato ad abbandonare il territorio nazionale entro 7 giorni.

L’Espulsione Amministrativa è prevista dall’articolo 13 del Testo Unico Immigrazione in due casi distinti e descritti in altrettanti specifici comma.

Art 13 comma 1 TUI: Espulsione disposta dal Ministero dell’Interno.

L’espulsione disposta dal Ministro dell’Interno, per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato, viene adottata nei confronti dello straniero, anche non residente nel territorio dello Stato per la tutela di esigenze di ordine interno e di sicurezza pubblica.

Prima di disporre l’espulsione il Ministro deve darne comunicazione al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro degli Affari Esteri. È un provvedimento amministrativo altamente discrezionale, utilizzato solo in casi gravi e indipendentemente dalla commissione di reati.

Art 13 comma 2 TUI: Espulsione disposta dal Prefetto

L’espulsione prefettizia può avvenire in tre casi:

-Lettera A, per irregolarità dell’ingresso: lo straniero è entrato nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera e non è stato respinto

-Lettera B, per irregolarità del soggiorno. In questo caso le cose si complicano. Le situazioni in cui il prefetto può disporre l’espulsione nel caso in cui lo straniero…

1- si è trattenuto nel territorio dello Stato in assenza della comunicazione, prevista dall’art. 27 comma

1-bis T.U., che disciplina i casi di ingresso per lavoro in casi particolari. Si tratta di distacco di lavoratore straniero, dipendente da datore di lavoro avente sede all’estero, autorizzato ad entrare in Italia per il compimento di determinate prestazioni oggetto di contratto d’appalto.

2- si è trattenuto nel territorio dello Stato senza aver chiesto il permesso di soggiorno nel termine di otto giorni lavorativi dall’ingresso salvo che il ritardo sia dipeso da forza maggiore;

3- si è trattenuto nel territorio dello Stato senza aver reso alla Questura entro otto giorni lavorativi dall’ingresso la dichiarazione di presenza prevista per i soggiorni inferiori a 90 giorni per turismo, affari, visita, studio.

• si è trattenuto nel territorio dello Stato quando il permesso di soggiorno è stato revocato;

• si è trattenuto nel territorio dello Stato dopo che il permesso di soggiorno è scaduto da più di sessanta giorni e non ne è stato chiesto il rinnovo;

• si è trattenuto oltre il termine di novanta giorni ovvero quello più breve indicato nel visto di ingresso per i soggiorni per motivi di turismo, affari, visita, studio.

-Lettera C, per motivi di pericolosità sociale. Questa lettera fa riferimento a una serie di articoli di legge che definiscono le categorie di persone che sono ritenute socialmente pericolose. Infatti, lo straniero può essere colpito da decreto di espulsione prefettizio se:

1- è da ritenersi dedito a traffici delittuosi.

2- per condotta e tenore di vita è da ritenersi che viva abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose.

3- per il suo comportamento è da ritenersi sia dedito alla commissione di reati che offendano o mettano in pericolo l’integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica.

4- sia indiziato di appartenere ad associazioni di tipo mafioso.

5- ponga in essere atti preparatori diretti alla commissione di reati con finalità di terrorismo anche internazionale, oppure a prendere parte ad un conflitto in territorio estero a sostegno di un’organizzazione che persegue finalità terroristiche.

Insomma, la persona viene espulsa in quanto ritenuta socialmente pericolosa.

Il Prefetto ha, sì, un ampio margine di discrezionalità, ma deve comunque desumere la pericolosità sociale da elementi di fatto, situazioni certe e dimostrabili. Dovrà inoltre tenere conto della condotta complessiva dello straniero, se svolge, ad esempio, attività lavorativa, l’esistenza di una famiglia, il suo inserimento sociale, la durata del suo soggiorno o, nel caso di condanne penali, a quando queste risalgano. Sulla base di queste variabili il Prefetto deciderà se la pericolosità dello straniero è da ritenersi attuale.

E se il Decreto di Espulsione mi colpisce?

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ius soli

Ius soli: la prossima tappa per i diritti civili

Ogni tanto si torna a discuterne ma, fino ad oggi, nessuna decisione politica. Sempre troppo rumore per nulla, dati i risultati per lo meno, Eppure lo ius soli è una delle battaglie più importanti nel panorama dei diritti civili.

In cosa consiste lo Ius Soli?

Lo Ius soli è un’espressione giuridica, in latino «diritto del suolo». Indica l’acquisizione della
cittadinanza di un determinato Paese come conseguenza del fatto giuridico di essere nati sul suo territorio, indipendentemente dalla cittadinanza dei genitori.

Sostanzialmente, dunque, si tratta di una tecnica per ottenere la cittadinanza di uno Stato. Dello Ius Soli
abbiamo diverse versioni giuridiche a seconda del Paese che lo ha adottato. Quasi tutti i Paesi del
Continente Americano, dal Brasile al Canada agli Stati Uniti, applicano lo Ius Soli automatico,
incondizionato. Al nascere all’interno dei confini del paese, la persona acquisisce la cittadinanza.

Sottostanno ad alcune precondizioni lo Ius Soli di alcuni Paesi europei come la Germania. Prevede
l’attribuzione della cittadinanza al nuovo nato se almeno uno dei due genitori risiede regolarmente nel
paese da almeno 8 anni.

E in Italia lo Ius Soli esiste?

Nel nostro Paese è attualmente vigente una diversa concezione del diritto di cittadinanza. Infatti si
acquisisce la cittadinanza, tra le altre ipotesi, per Ius Sanguinis, dal latino, “diritto di sangue”. Se si
nasce o si è adottati da cittadini italiani come prevede la legge sulla cittadinanza.

Tra l’altro questa legge è stata modificata sia dal Decreto Sicurezza dell’allora Ministro dell’Interno Salvini sia dal cosiddetto Decreto Lamorgese, nuova Ministra dell’Interno.

Come si accede alla cittadinanza?

La modalità più frequente è quella che consente di chiedere la cittadinanza italiana agli stranieri residenti
regolarmente in Italia da almeno 10 anni
, e sulla continuità della residenza si aprono numerosi
problemi.

Inoltre il richiedente deve dimostrare di avere redditi sufficienti al sostentamento. Nei tre anni
precedenti la richiesta dovranno essere di almeno 8263,31 € nel caso in cui non abbiano moglie o figli, diversamente il tetto di reddito aumenta. Occorre dimostrare di non avere precedenti penali e di non essere in possesso di motivi ostativi per la sicurezza della Repubblica. Anche il requisito reddituale a prima vista molto semplice, in realtà per uno straniero con famiglie monoreddito, con numerose persone a carico e con lavori saltuari o non sempre regolari queste cifre sono difficili da documentare.

A ciò si aggiunge una serie di documenti da allegare reperibili solo nel Paese di origine. Talvolta in certi
Stati è difficilissimo anche recuperare un semplice certificato di nascita o certificato penale. In molti casi, non è raro che i dati anagrafici riportati nei certificati originali poi tradotti e asseverati in Italia siano differenti da quelli dichiarati dallo straniero e risultanti nei documenti italiani.

E qui si apre il lungo e difficile lavoro di certificazione, di correzione o di variazione anagrafica che tante volte deve passare anche attraverso un accertamento e una dichiarazione da parte di una Autorità Giudiziaria.

Lo Ius Soli per i figli

Il vero capitolo dolente della nostra normativa ormai datata. Per quanto concerne i figli minori conviventi, nel momento del giuramento del nuovo cittadino italiano, essi diventano automaticamente italiani.

Invece in caso di una persona straniera nata in Italia da genitori stranieri, potrà fare autonoma richiesta di cittadinanza solo al compimento del diciottesimo anno d’età. Tra l’altro, l’amministrazione comunale di
residenza ha il compito di informare i neomaggiorenni di questa opportunità.

In vero problema quindi è per i figli maggiorenni del richiedente cittadinanza. Secondo la legge, qualora
all’ottenimento della cittadinanza il figlio o la figlia siano già diventati maggiorenni, non diventeranno
essi stessi cittadini automaticamente e dovranno avviare autonomamente la loro richiesta. Questo viene
vissuto da molti come una ingiustizia.

La ragione per cui si invoca lo Ius Soli è questa

Questa possibilità renderebbe la procedura di acquisto della cittadinanza dei figli più agile e slegata dalle alterne vicende di quelle dei genitori. Questo può succedere per molte ragioni: prima di tutto il genitore potrebbe non essere stato in regola al momento della nascita del figlio o della figlia. Qualora così non fosse, deve poter dichiarare un reddito sufficiente nei tre anni precedenti la richiesta, cosa niente affatto scontata data la tendenza al lavoro nero.

Infine, un altro ingiustificabile ostacolo sono i tempi burocratici. Con l’accavallarsi delle modifiche la situazione attuale è variegata: se già con la legge 91/1992 i tempi tecnici si definivano approssimativamente in almeno due anni, con il Decreto Salvini questi si sono dilatano a ben 4 anni. Tale termine, da ultimo è stato riportato a 3 anni dal Decreto Lamorgese.

Lo Ius Soli dal punto di vista amministrativo

Il limite, poi, in ogni caso non è perentorio ma ordinatorio: l’iter burocratico può estendersi, in certi casi, per più otto-nove anni dal momento della richiesta. Attualmente la situazione è la seguente:

  • TERMINE PER LE DOMANDE PRESENTATE FINO AL 4/10/18 : 2 ANNI
  • TERMINE PER LE DOMANDE PRESENTATE DAL 5/10/18 AL 20/12/2020 : 4 ANNI
  • TERMINE PER LE DOMANDE PRESENTATE DA 21 DICEMBRE 2020: 3 ANNI

Insomma, l’iter per l’ottenimento della cittadinanza è un procedimento complesso e soprattutto lungo, che solo nominalmente viene garantito dopo dieci anni di residenza regolare.

A questi bisogna aggiungere i tempi per l’ottenimento dei documenti necessari e le dilatazioni rimesse alla discrezionale valutazione dell’autorità amministrativa, facendo balzare i tempi per l’ottenimento della cittadinanza. A quel punto, con ogni probabilità, il figlio o la figlia dell’immigrato sarà già maggiorenne, e dovrà quindi avviare a sua volta una procedura per l’ottenimento della cittadinanza.

Insomma, queste persone nate e cresciute in Italia, educate in Italia e immerse totalmente nel tessuto
sociale italiano. Qualora facessero ogni procedura nelle più brevi tempistiche contemplate dalla legge,
otterrebbero la cittadinanza non prima dei venticinque, ventisei o ventisette anni.

L’entità del problema

Quello dei diritti di cittadinanza per gli immigrati di seconda generazione, o G2, è tutt’altro che un
problema marginale. Secondo il volume “Identità e percorsi di integrazione nelle seconde generazioni in Italia”, edito da Istat nell’aprile del 2020, al 1 gennaio del 2018 erano ben 778.000 gli “stranieri nati sul territorio nazionale da genitori stranieri”. Insomma un problema che riguarda circa una persona ogni otto sul territorio del nostro paese.

Le proposte e le soluzioni possibili

Esiste uno storico delle iniziative parlamentari riguardanti lo Ius Soli a cui possiamo attingere per
farci un’idea riguardo a quella che potrebbe essere una riforma dell’iter per l’ottenimento della cittadinanza per gli stranieri nati in Italia.

Una interessante proposta di legge di riforma della materia, che sembrava destinata al successo, è stata
discussa, e bocciata, nel giugno del 2017 in Parlamento. Possiamo trarre spunto da questa per ipotizzare
una eventuale proposta di riforma futura: la discussione si basava, infatti, su due principi fondamentali: il
cosiddetto Ius Soli Temperato e lo Ius Culturae.

Lo Ius Soli temperato

Lo Ius Soli temperato prevede l’attribuzione della cittadinanza Italiana a chiunque nasca sul suolo
nazionale date alcune condizioni: potrebbero diventare cittadini italiani per nascita i figli, nati nel
territorio della Repubblica
, di genitori stranieri se almeno uno dei genitori è in possesso permesso di
soggiorno UE di lungo periodo e risulta residente legalmente in Italia da almeno 5 anni.

Lo Ius Culturae, invece, prevede che i minori stranieri nati in Italia o qui giunti entro il compimento del
dodicesimo anno d’età, possano acquisire la cittadinanza sempre che abbiano frequentato regolarmente
per almeno cinque anni uno o più cicli presso istituti scolastici del sistema nazionale, o percorsi di
istruzione e formazione professionale triennali o quadriennali.

La frequenza del corso di istruzione dev’essere coronata dalla promozione. I ragazzi arrivati in Italia fra i 12 e i 18 anni, avrebbero potuto ottenere la cittadinanza dopo aver risieduto legalmente in Italia per almeno sei anni. Oltre a questo, aver frequentato un ciclo scolastico coronato da conseguimento del titolo conclusivo.

Per concludere…

Parlando di Ius Soli, non si potrà diventare cittadini italiani per l’esclusivo evento dell’essere nati sul suolo
della Repubblica. Bisognerà invece poter dimostrare uno storico di inserimento sociale, sia da parte dei
propri genitori che da parte del richiedente stesso, qualora non fosse nato in Italia.

Studiando i dati, ci rendiamo conto che il problema è tutt’altro che marginale e che non riguarda cittadini stranieri o che nulla hanno a che fare, ancora, col tessuto sociale, produttivo e intellettuale del nostro paese.

Riguarda invece tre quarti di milione di giovani perfettamente immersi e integrati nel nostro Paese,
che larga parte delle forze politiche del nostro Paese ritiene di dover incentivare a continuare a farne
parte, agevolandone l’integrazione amministrativa e legale a fronte di un’integrazione effettiva che è già una realtà.

Acquistare la cittadinanza non è una procedura facile

Per questo è sempre meglio affidarsi ad un legale. Se ne hai bisogno, contatta il nostro studio: la prima consulenza è senza impegno.