Le situazioni atipiche, non formalizzate da un contratto, capitano nella vita, ma nel caso dell’occupazione di un immobile spesso questo può generare inquietudine nei proprietari. La legge, però, offre una tutela anche in queste situazioni: l’indennità di occupazione!
Di norma, le persone sono proprietarie della casa in cui abitano, oppure hanno sottoscritto un regolare contratto di locazione che definisce i loro diritti di abitazione e i loro doveri nei confronti del titolare dell’immobile. In alcuni casi, però, l’immobile abitato è detenuto senza titolo, e in questo caso entra in gioco la cosiddetta indennità di occupazione.
Indennità di occupazione: di cosa si tratta esattamente?
Può succedere che l’immobile venga detenuto da chi ci abita “sine titulo”, ossia senza un titolo valido di origine contrattuale. Questo succede, ad esempio, quando il contratto di locazione giunge al suo naturale termine o, in alternativa, quando il contratto viene risolto anticipatamente, ma l’inquilino continua ad occupare l’immobile anche successivamente.
Nel caso di un’occupazione illegittima è dovuta una somma di denaro al proprietario dell’immobile come forma di risarcimento: in questo consiste l’indennità di occupazione.
“Il conduttore in mora a restituire la cosa è tenuto a dare al locatore il corrispettivo convenuto fino alla riconsegna, salvo l’obbligo a risarcire il maggior danno”.
Questo comporta che debba essere dimostrato, anche se sulla base di presunzioni semplici, che il proprietario ha subito un danno a causa dell’occupazione abusiva dell’immobile. Parliamo, ad esempio, dell’impossibilità di stipulare un altro contratto di locazione o di stabilire la residenza della propria famiglia nell’immobile in questione. Nel caso di contratto di locazione scaduto, tuttavia, l’occupazione illegittima dell’ex inquilino è di per sé sufficiente a far sorgere in capo al proprietario il diritto di ricevere l’indennità.
A quanto può ammontare l’indennità di occupazione?
La somma dovuta dall’inquilino al proprietario come indennità di occupazione deve essere commisurata al canone mensile corrisposto e stabilito con il contratto di locazione. Si considera, infatti, che corrisponda al maggior o minor danno che il proprietario ritenga di aver subito.
Non di rado capita che la locazione dell’immobile sia preceduta o seguita da un periodo di occupazione sine titulo. In questo caso si parla anche di occupazione precontrattuale e occupazione postcontrattuale. Durante questo periodo l’inquilino generalmente corrisponde una somma a titolo di indennità di occupazione. Questa, tuttavia, non ha funzione risarcitoria, bensì locatizia, ovvero è da considerarsi come un canone d’affitto. L’importo è pertanto commisurato al canone di locazione stabilito dal contratto di locazione precedente o successivo. Infatti, il rapporto che si instaura fra le parti non è autonomo, ma consequenziale o comunque dipendente dal rapporto contrattuale. Anche la somma a titolo di indennità, dunque, dovrà essere commisurata ai parametri del contratto stipulato.
Infine, un ultimo piccolo accorgimento!
Anche quando si percepisce l’indennità di occupazione occorre pagare l’imposta di registro all’Agenzia delle Entrate. Questo sia che essa abbia natura di canone di locazione, sia che abbia funzione risarcitoria!
Articolo scritto in collaborazione con l’avvocato Maria Monica Bassan
La figura dell’amministratore di condominio e in cosa consista il suo lavoro, è nota a quasi tutti e, in particolare, a coloro che vivono in un condominio. Alcuni aspetti di questa figura istituzionale difficilmente vengono approfonditi, ma sono invece essenziali per capire limiti e possibilità del suo mandato. Ad esempio, quando e come viene nominato? E quando è possibile chiederne la revoca dell’amministratore di condominio?
Quando è necessario un amministratore?
Cominciamo col dire che il codice civile dà una risposta alla prima domanda: l’amministratore deve essere nominato quando i condòmini sono più di otto. Questo non significa che devono esserci nove unità immobiliari distinte, ma che devono esserci almeno nove soggetti diversi. Per fare un esempio, se in un condominio ci sono dieci appartamenti, di cui cinque ancora di proprietà del costruttore e gli altri cinque venduti ad altrettanti soggetti, in questo caso non sussiste l’obbligo di nomina di un amministratore di condominio, poiché i soggetti proprietari sono solo sei.
Dire che non sussiste l’obbligo non significa che non ve ne sia la possibilità! Ad esempio, in un condominio che conta due unità abitative e due persone residenti, può essere nominato un amministratore, se questi lo ritenessero opportuno.
Per quanto riguarda, invece, le modalità di nomina, l’assemblea dei condòmini deve deliberare rispettando in quorum costitutivo ed uno deliberativo. Questo significa due cose. Prima di tutto che è necessaria la presenza della maggioranza dei condòmini per la validità della costituzione dell’assemblea. Per la validità della votazione è necessaria, invece, la maggioranza degli intervenuti, che rappresenti al contempo almeno la metà dei millesimi dell’edificio.
Difficilmente, però, l’assemblea delibera in prima convocazione; normalmente, la nomina avviene in seconda convocazione. Questo perché, per la validità della costituzione dell’assemblea, sono necessari un terzo dei condòmini che rappresentino almeno un terzo dei millesimi. Per la validità della votazione, invece, occorre che il numero di voti rappresenti la maggioranza degli intervenuti ed almeno un terzo dei millesimi dell’edificio.
Se l’assemblea non riesce a provvedere, l’amministratore viene nominato dal Giudice su ricorso anche di un solo condòmino o dell’amministratore uscente.
Revoca dell’amministratore di condominio: quando?
La revoca dell’amministratore di condominio è possibile, senza giusta causa, in qualsiasi momento e con le stesse maggioranze previste per la nomina per la validità della convocazione e della votazione. La convocazione dell’assemblea può essere chiesta all’amministratore da almeno due condòmini, che rappresentino un sesto del valore dell’edificio.
Se invece la revoca viene richiesta per giusta causa, la si può ottenere convocando l’assemblea, oppure il singolo condomino può rivolgersi al giudice.
Ma quando si ha giusta causa?
Perché vi sia giusta causa di revoca dell’amministratore di condominio devono sussistere gravi irregolarità nella gestione dell’amministrazione. La giusta causa scatta quando vi è un’amministrazione anomala che comporta danni al condominio oppure quando l’amministratore ha agito negligentemente o in malafede.
Attenzione, però! Poniamo il caso che la revoca dell’amministratore di condominio venga proposta a seguito di gravi irregolarità nei rendiconti condominiali. La revoca non sarà possibile quando i rendiconti sono già stati approvati dall’assemblea e non impugnati nei termini di legge.
Le norme di legge in materia di condominio sono molto complesse!
La convivenza dei condomini è spesso complicata e le norme che la regolano sono complesse! Per questo è sempre bene farsi assistere da un professionista.
Per valutare in quali casi sia possibile operare la revoca dell’amministratore di condominio per giusta causa, contatta il nostro studio: tutela i tuoi diritti!
Articolo scritto in collaborazione con l’avvocato Alice Pizzo
Vi sono alcuni casi in cui, nel corso di una procedura di sfratto, vengono attivati i servizi sociali. In questo primo articolo dedicato all’argomento vedremo quando, perché e come i servizi sociali vengono attivati.
Servizi Sociali nelle procedure di sfratto: perché entrano in gioco?
Nella vita delle persone e delle famiglie ci possono essere momenti drammatici come quando si perde il diritto di rimanere in una casa avuta in locazione perché si è destinatari di uno sfratto per morosità o sfratto per finita locazione. In questi momenti, a parte i familiari e gli amici che ti possono sempre aiutare a trovare una nuova casa, ti puoi rivolgere ai Servizi Sociali e trovare con loro una soluzione. Meglio se con l’aiuto e l’intermediazione di un avvocato.
I Servizi Sociali, però, non sono obbligati ad intervenire in caso di sfratto e darti automaticamente un alloggio alternativo. Tuttavia, se siamo di fronte ad una situazione di stato di abbandono o di grave pregiudizio comprovato a carico di minori, anziani, persone comunque non autosufficienti, o con particolari fragilità. In questo caso i Servizi Sociali del Comune possono, anzi debbono, intervenire. Vediamo come.
A chi puoi rivolgerti in caso di sfratto?
Se sei un inquilino, italiano, comunitario o extra comunitario e stai subendo uno sfratto hai la possibilità di rivolgerti alle strutture pubbliche del territorio dove vivi. Ovviamente in questo caso è sempre opportuno che l’interessato si rivolga immediatamente a un avvocato che potrà spiegargli come difendersi e quali sono i suoi diritti. Conoscerà, così, anche i tempi, i costi e i rischi di questa procedura.
Inoltre, l’avvocato potrà assistere e accompagnare lo sfrattando nei rapporti con il Comune di appartenenza. Per il principio di sussidiarietà, infatti, l’ente pubblico più idoneo in questi casi è proprio il Comune di residenza che presumibilmente coincide con il Comune dove si trova l’immobile dove uno vive e da cui viene sfrattato.
L’ufficio comunale competente sono i Servizi Sociali che, tra i vari compiti loro assegnati, prestano assistenza materiale e morale alle persone e, in particolare, ai nuclei familiari in difficoltà. Nei Comuni piccoli di solito si trovano presso la sede comunale. Nei Comuni di grandi dimensioni hanno degli uffici dislocati nel territorio comunale e si deve cercare quello di riferimento per la via di residenza. L’inquilino che riceve una notifica di sfratto, quindi, può segnalare subito la problematica al proprio Assistente Sociale di riferimento.
Quando devono intervenire i servizi sociali del territorio?
Poiché la procedura di sfratto ha tempi abbastanza lunghi, i Servizi Sociali in genere non intervengono subito. La procedura di sfratto, infatti, ha varie fasi giudiziali: la prima, di accertamento dei requisiti per ottenere lo sfratto, si conclude, in genere, con la convalida di sfratto. Il Giudice, insomma, accoglie la richiesta del proprietario di casa, conferma lo sfratto richiesto e lo autorizza a iniziale la seconda fase per riavere materialmente l’alloggio indietro.
Dopo la convalida di sfratto, infatti, inizia la fase esecutiva vera e propria e il proprietario locatore dopo la notifica all’inquilino sfrattato di un ulteriore atto chiamato precetto. A questo punto deve rivolgersi agli Ufficiali Giudiziari del Tribunale competente. Per competente intendiamo quello in cui si trova l’immobile oggetto della procedura. Si inizia quindi la procedura che lo porterà a riavere il bene immobile ancora occupato dalla persona o dalla famiglia sfrattata.
Che cos’è lo sgombero forzato?
Lo sgombero forzato avviene, per gli sfratti di immobili ad uso abitativo, dopo un primo accesso in cui l’Ufficiale Giudiziario si reca a casa dell’inquilino. Gli spiega inoltre che dovrà lasciare veramente la casa libera e sgombera da cose e persone e gli fissa il giorno in cui tornerà per riprendere l’immobile e consegnarlo formalmente al proprietario.
Questo è il momento in cui si deve notiziare il proprio Comune che deve avere chiaro quando sarà la data del secondo accesso da parte degli Ufficiali Giudiziari. In quella data, infatti, se non viene restituito l’immobile volontariamente, il proprietario può avvalersi della forza pubblica. Intendiamo la Polizia locale, Carabinieri o altre pubbliche autorità territorialmente competenti. Questi entreranno brutalmente nella sua proprietà. Il secondo accesso da parte degli ufficiali Giudiziari, quindi è il momento in cui si deve lasciare l’immobile.
L’intervento dei Servizi Sociali nelle procedure di sfratto è una procedura molto complessa.
Rimandiamo al prossimo articolo per completare l’argomento. Intanto, ti consigliamo di rivolgerti sempre a un legale se ti trovi coinvolto in una procedura di sfratto. Se hai bisogno di assistenza rivolgiti al nostro studio: tutela i tuoi diritti!
Articolo scritto in collaborazione con l’avvocato Maria Monica Bassan
Quella dell’amministratore di condominio è una figura conosciuta da tutti; pochi, però, sanno davvero come funzioni. Spesso, ad esempio, non si sa che nei condominii più piccoli l’amministratore può anche non essere presente. Oppure che, quando è presente, ha compiti che deve obbligatoriamente eseguire, pena la revoca dell’incarico. Vediamo in dettaglio cosa dice la legge in merito.
La nomina e la revoca dell’amministratore di condominio spettano all’assemblea dei condomini. L’amministratore, infatti, agirà e rappresenterà il condominio in loro vece, anche di fronte all’autorità giudiziaria.
Attenzione, però: l’amministratore potrebbe anche non essere presente. La nomina di un amministratore, infatti, è obbligatoria solo nel caso in cui i condomini siano più di otto: al di sotto di quel numero, non vi è alcun obbligo di nominarlo. Questo significa anche che, quando i condomini sono più di otto, se l’assemblea non provvede, l’amministratore precedente oppure uno o più condomini possono rivolgersi a un Giudice per far nominare da lui l’amministratore.
L’amministratore di condominio viene nominato per un incarico della durata di un anno. Al termine di quel periodo la nomina viene riconfermata per l’anno successivo oppure revocata. La nomina dev’essere decisa dalla maggioranza dei condomini intervenuti all’assemblea condominiale, purché nel complesso siano titolari di un numero di quote di proprietà pari ad almeno la metà del valore dell’edificio.
Quali sono i compiti di un amministratore di condominio?
Innanzitutto, dopo aver comunicato i propri dati e recapiti ai condomini, il nuovo amministratore dovrà effettuare il formale passaggio di consegne con l’amministratore precedente. Subito dopo, sarà suo compito aprire un conto corrente dedicato al condominio, nel quale transitino tutte le somme versate dai condomini.
Durante il mandato, i compiti dell’amministratore sono invece vari. Suo è l’onere di convocare l’assemblea di condominio almeno una volta l’anno per l’approvazione del bilancio, entro 180 giorni dalla chiusura dell’esercizio. L’amministratore si occupa inoltre dell’esecuzione delle delibere dell’assemblea condominiale e garantisce il rispetto del regolamento condominiale. Infine, Egli regola l’utilizzo delle cose comuni a tutti i condomini, facendo tutto quanto necessario a conservarne l’integrità: ciò significa che, se è necessario intervenire urgentemente, Egli non è nemmeno tenuto a chiedere il consenso dell’assemblea prima di procedere!
L’amministratore, inoltre, incassa le rate condominiali, con cui poi paga le utenze e i fornitori, sempre utilizzando il conto corrente condominiale. Suo dovere fondamentale è quello di tenere la contabilità condominiale e redigere sia il bilancio preventivo sia il rendiconto annuale, per rendere note ai condomini, in maniera chiara e trasparente, le entrate e le uscite dell’esercizio.
Nel caso in cui qualche condomino sia moroso, l’amministratore ha il dovere di agire tempestivamente per il recupero del credito, arrivando ad avvalersi di un avvocato, a meno che l’assemblea non decida diversamente.
In tutto questo, però, la sua attività è comunque limitata dall’assemblea dei condomini, che resta il vero organo decisionale all’interno del condominio.
Le norme che regolano la vita all’interno di un condominio sono sempre complicate. Spesso si hanno dubbi in merito all’operato dell’amministratore di condominio: non capita di rado, infatti, che l’amministrazione sia poco trasparente.
Se hai dubbi sull’operato del tuo amministratore di condominio contatta il nostro studio: tutela i tuoi diritti!
Articolo scritto in collaborazione con l’avvocato Alice Pizzo
Hai affittato il tuo appartamento a quel ragazzo che ti sembrava serio ed affidabile. I primi mesi paga i canoni regolarmente, poi inizia a ritardare di qualche settimana e infine non paga più. Dopo vani tentativi con cui lo solleciti e ti risponde con parole vuote ma rassicuranti che pagherà, saresti tentato di cambiare la serratura dell’appartamento e non farlo più entrare. Niente di più sbagliato: quando un inquilino non paga bisogna mantenere la calma e agire con cognizione di causa.
Il contratto di locazione
Il contratto di locazione, comunemente ma impropriamente chiamato “affitto”, è un contratto col quale generalmente una parte, il locatore, permette il godimento di un immobile ad un’altra parte, il conduttore, per un periodo di tempo. Questo in cambio del pagamento di un corrispettivo in denaro, detto canone.
Il rischio più grande, quando si stipula un contratto di locazione, si materializza quando un inquilino non paga i canoni. Le tutele messe in campo dalla legge, in questo caso, ci sono. Nel caso in cui, però, nonostante i solleciti, l’inquilino continui a non pagare, il proprietario non può arbitrariamente cambiare la serratura o staccare le utenze!
Quando un inquilino non paga: quali sono i rimedi?
La legge, in effetti, tollera il ritardo dell’inquilino nel pagamento del canone, anche se per un massimo di 20 giorni dalla scadenza. Dal 21° giorno, quindi, il proprietario può procedere nei confronti dell’inquilino moroso.
A questo punto, anziché procedere in autonomia dando un ultimatum all’inquilino, la cosa migliore da fare è rivolgersi ad un avvocato. Questi, per prima cosa, invierà al moroso una diffida di pagamento, con la quale assegnerà un termine entro il quale versare l’importo dovuto.
Se l’inquilino non paga ancora: lo sfratto
In mancanza di pagamento, il locatore potrà intimare all’inquilino lo sfratto per morosità, ma, per farlo, dovrà necessariamente rivolgersi ad un Giudice! Solo così, infatti, sarà possibile far dichiarare la risoluzione del contratto di locazione e, allo stesso tempo, ottenere la condanna dell’inquilino al pagamento dei canoni scaduti.
Ottenuto questo provvedimento, se l’inquilino si rifiuterà di lasciare spontaneamente l’immobile alla scadenza del termine assegnatogli dal Giudice, sarà possibile procedere all’esecuzione forzata e, quindi, allo sgombero.
Le questioni legate alla locazione sono sempre delicate: ecco cosa è meglio fare
La procedura di sfratto per morosità è lunga e complessa! Per questo, quando un inquilino non paga, non si deve perdere tempo e ci si deve rivolgere al più presto ad un legale. Se hai questo genere di problemi puoi rivolgerti al nostro studio per avere assistenza: tutela i tuoi diritti!
Articolo scritto in collaborazione con l’avvocato Giulia Schiavon
Oltre all’entusiasmo per un nuovo inizio in una nuova città, la curiosità per la nuova vita e l’eccitazione per l’ambiente stimolante e sconosciuto in cui si inserisce, lo studente fuori sede che comincia l’anno accademico ha un problema immediato a cui far fronte: trovare una casa. La locazione per studenti è una fattispecie a sé, e non tutti i padroni di casa, o locatari, sono bendisposti a concederla: il risultato è una scarsità cronica che rischia di far scoraggiare lo studente alla ricerca di un alloggio che faccia al caso suo. Ma non è il caso di demordere!
La legge, infatti, viene in soccorso dello studente prevedendo espressamente il cosiddetto “contratto di locazione per studenti universitari”. Si tratta di una tipologia di locazione ad uso transitorio, caratterizzata da una durata limitata e da particolari agevolazioni fiscali per il proprietario e per gli stessi studenti.
Locazione per studenti: cosa s’intende per transitorietà della locazione?
La locazione è detta transitoria nel caso in cui sia prevista una durata minima inferiore a quella legale, ammissibile solo nel caso in cui sia necessario soddisfare particolari esigenze delle parti. Rientra nel caso la permanenza temporanea in un determinato luogo finalizzata a completare un percorso di studi.
La disciplina delle locazioni transitorie ad uso abitativo per studenti universitari
La noma principale per comprendere la natura di questo contratto, è l’art. 5 della l. n. 431/1998 in materia di locazioni e rilascio degli immobili ad uso abitativo. L’articolo prevede la facoltà per i comuni di sede universitaria, eventualmente in intesa con quelli limitrofi, di promuovere specifici accordi per la definizione dei canoni di locazione di immobili ad uso abitativo per studenti universitari. Alla definizione di questi accordi, la legge sostiene debbano partecipare le organizzazioni della proprietà edilizia e dei conduttori maggiormente rappresentative, congiuntamente alle aziende per il diritto allo studio, l’associazione degli studenti, nonché le cooperative ed enti non lucrativi operanti nel settore.
Nella pratica ciò non succede quasi mai, e per far fronte all’inattività dei comuni e degli organismi universitari, la norma ha previsto l’emanazione di un decreto ministeriale che stabilisce precisamente le condizioni per la stipula di questi contratti, e recepisce il contenuto di appositi accordi territoriali raggiunti sul tema.
Locazione per studenti: il canone e le agevolazioni fiscali
Il decreto ministeriale indica i criteri per la determinazione del canone che stabiliscono delle fasce di oscillazione all’interno delle quali, in conformità con le caratteristiche dell’edificio e dell’unità immobiliare, può essere concordato il canone per il singolo contratto.
Il proprietario ha diritto a una deduzione Irpef del 30% del canone, oltre alla deduzione ordinari del 5%, oppure può optare per la cedolare secca al 10% in sostituzione della tassazione ordinaria Irpef, con la possibilità di esenzione del versamento dell’imposta di bollo e di registro.
Gli studenti invece, hanno il diritto di portare in detrazione dell’IRPEF il 19% del canone annuo, entro il limite massimo di euro 2.633. Questo però è possibile solo ed esclusivamente nel caso in cui l’Università presso la quale lo studente è iscritto disti almeno 100 km dal suo comune di residenza.
Quali sono i presupposti per la stipulazione di un contratto di locazione per studenti universitari?
Vi sono due principali presupposti per la stipula di un contratto di locazione per studenti universitari
Presupposto oggettivo: l’immobile da locare deve essere ubicato nel comune sede di un corso universitario o di corsi erogati da istituzioni d’istruzione superiore equiparati all’università (ad esempio il conservatorio o i corsi ITS), oppure, in alternativa, in un comune limitrofo.
Presupposto soggettivo: chi prende in locazione l’immobile deve essere iscritto a un corso di laurea o post-laurea e deve necessariamente avere la propria residenza in un comune diverso.
L’immobile può essere locato a un soggetto singolo o a un gruppo di studenti. Se la locazione ha per oggetto singole stanze, vi saranno tanti contratti di locazione quante sono le porzioni locate.
Qual è la durata del contratto?
La legge prevede una durata minima di sei mesi e una durata massima di tre anni. Essendo previsto un meccanismo di rinnovazione automatica alla prima scadenza, lo studente interessato a lasciare l’immobile, deve comunicare la disdetta al locatore entro un mese e non prima di tre mesi dalla stessa. Pertanto, è tenuto a prestare attenzione e a tenere ben a mente la data di scadenza del contratto. Per quanto riguarda il locatore invece, egli può dare disdetta ogniqualvolta ricorrano le condizioni stabilite dall’art. 3 della legge 431/1998.
La disdetta del locatore e il recesso del conduttore devono essere dati per iscritto, mediante comunicazione firmata ed inviata all’altra parte a mezzo raccomandata con avviso di ritorno oppure mediante posta elettronica certifica (P.E.C).
Cosa succede nel caso in cui l’immobile sia locato a più studenti e solo uno voglia recedere?
In questo caso la responsabilità è solidale, e quindi gli altri conduttori devono in ogni caso pagare il canone concordato nel contratto. In realtà l’intera disciplina è incentrata sulla tutela del conduttore quindi, in virtù del principio di buona fede, il locatore dovrebbe richiedere un valore diminuito del canone.
Alcune indicazioni per lo svolgimento del rapporto di locazione.
– Diversamente da quanto normalmente accade, il locatore non può entrare nei locali senza il permesso del conduttore. Tuttavia, il contratto stesso può prevedere un diritto d’accesso, e il conduttore dovrà correttamente consentirlo.
– Salvo non sia espressamente previsto, il conduttore non può dare a sua volta in locazione uno o più locali dell’immobile, e se lo fa senza il consenso del locatore, quest’ultimo può legittimamente pretendere la risoluzione del contratto.
– Lo studente deve farsi carico delle spese relative alle utenze, e le relative forniture potranno essere a lui intestate.
– La manutenzione dell’appartamento, così come le spese condominiali, spettano al conduttore soltanto per gli interventi di natura ordinaria, consistenti in piccole riparazioni o in lievi interventi strutturali. La manutenzione straordinaria è invece interamente a carico del locatore.
Il contratto di locazione per studenti è solo una forma di contratto che regola i rapporti fra locatore e conduttore.
Non sempre uno studente accede a questa forma contrattuale, quindi, per capire come districarsi in un universo legale complesso e variegato come quello del diritto di locazione e condominiale, è sempre una buona idea fare un passaggio con un legale. Se hai qualche domanda per evitare brutte sorprese alla vigilia della firma di un contratto, contatta il nostro studio: tutela i tuoi diritti!
Articolo realizzato in collaborazione con la dottoressa Silvia Pellicani
Quando si cerca un appartamento, un ufficio o un locale commerciale in locazione per viverci o per svolgere la propria attività, nelle spese si calcola sempre la somma del fitto mensile. Istintivamente non calcoliamo neanche che c’è un’altra voce di spesa da aggiungere: la cauzione!
Sebbene la seconda legge abbia cambiato radicalmente i tipi di locazione e la loro disciplina, l’istituto della cauzione resta invariato, ed è normato dall’articolo 11 della Legge sull’equo canone per le locazioni abitative e dall‘articolo 41 per quelle commerciali.
Cerchiamo di capire cosa sia la caparra, ponendoci alcune domande che normalmente ci poniamo nel momento in cui firmiamo un contratto d’affitto.
La cauzione è solo una spesa?
Assolutamente no. La cauzione è, come dice il nome stesso, una somma che serve a garantire il bene del proprietario. Di conseguenza, il proprietario dell’immobile è tenuto a conservarla, e maturerà gli interessi legali che si calcoleranno su base annuale. La somma, comprensiva degli interessi, verrà restituita al locatore al termine del rapporto.
Si tratta di una clausola contrattuale obbligatoria?
No, non è obbligatoria, ma i proprietari-locatori la richiedono immancabilmente.
A quanto può ammontare, al massimo, la cauzione?
Non può essere superiore alle tre mensilità. Se, ad esempio, l’affitto di un appartamento è fissato a 500 €, la cauzione non potrà essere superiore ai 1500 €.
La cauzione può essere trattenuta dal proprietario?
Al termine del contratto di locazione, locatore e conduttore effettuano una verifica dell’immobile. Sarebbe utile e opportuno che la verifica fosse fatta insieme. Se il conduttore ha arrecato danni o comunque sono necessari dei lavori per ripristinare l’aspetto originale dei locali, il locatore può trattenere la cauzione per far fronte alle riparazioni. La cauzione può essere trattenuta anche se il locatore non ha versato tutti i canoni d’affitto. Il suo importo può essere sufficiente a coprire i danni o i debiti, o essere trattenuta a titolo di acconto sulla somma più consistente dovuta al locatore.
Il proprietario dell‘immobile, in ogni caso, dovrà rivolgersi al Giudice per chiedere la condanna del conduttore a pagare il dovuto. Se da parte del conduttore c’è contestazione, comunque, il proprietario dovrebbe prima restituire la cauzione, e poi recuperare il dovuto passando per un accertamento e una condanna giudiziale. Attenzione, se il conduttore non contesta, riconosce implicitamente il diritto del proprietario a trattiene la somma.
Quindi è molto importante per il conduttore che restituisce l’immobile verificare se quanto trattiene il proprietario è legittimo o meno, e, nel caso in cui non lo sia, contestare subito chiedendo la restituzione della cauzione versata.
Se acquisto un immobile locato, chi deve garantire la restituzione della cauzione al conduttore?
L’acquirente di un immobile locato subentra nei diritti e nelle obbligazioni riguardanti quell’immobili. Subentra anche, dunque, nel contratto d’affitto, ed è quindi tenuto alla restituzione del deposito cauzionale, a meno che il nuovo locatore e il conduttore non si accordino per l’utilizzo della cauzione come compensazione nei rapporti di dare e avere tra le parti. L’esistenza della cauzione, dunque, è un aspetto che va affrontato durante la compravendita dell’immobile stesso, e che va regolata fra le parti.
E nel caso di una cessione d’azienda?
La cessione di azienda, purtroppo, è un caso che sempre più spesso ci troviamo ad affrontare in tempi di crisi crescenti. Un ristoratore, per fare un esempio, subentra a un altro acquistando o affittando la licenza per un ristorante. Non ne acquista o affitta però i muri, che sono invece in locazione. Il nuovo esercente subentra al contratto d’affitto solo nel caso in cui sia esplicitamente prevista la sua cessione, o se il proprietario dell’immobile vi acconsenta. Andrà quindi posta una particolare attenzione riguardo la sorte della cauzione: capita spesso che la cauzione non venga citata nella stesura dell’accordo di fitto o cessione, venendo quindi gestita secondo le norme che regolano tutti gli altri crediti o debiti aziendali, che potrebbero quindi rimanere in capo al primo titolare dell’azienda. Starà al cedente pretendere dal cessionario la restituzione della cauzione che è ancora trattenuta dal proprietario dei locali, come parte dell’accordo di cessione o fitto d’azienda.
L’articolo ha risposto a qualche domanda che ti stavi ponendo?
La regolamentazione degli affitti è una materia complicata e precisa quanto la convivenza con i propri vicini di casa in condominio! Consulta la nostra piccola guida al condominio, scopri quali sono i tuoi diritti e i tuoi doveri!
Chiunque viva o abbia vissuto in condominio sa ben dire quale sia la differenza fra la sfera privata e quella comune, e non soltanto per i piccoli screzi e le solidarietà che sono tipici della vita in condominio. Spesso, la sfera che riguarda la convivenza collettiva assume toni molto pratici, talmente tangibili da avere persino una voce dedicata: le spese condominiali.
Quando viviamo già da tempo in un condominio, le spese condominiali sono qualcosa di regolare, ma come dobbiamo comportarci quando acquistiamo un appartamento?
Le spese condominiali
La gestione, la manutenzione e l’utilizzo delle parti comuni, ma anche la prestazione di alcuni servizi comuni, come il riscaldamento, generano spese di cui ogni condomino deve obbligatoriamente farsi carico. La ripartizione di queste spese tra i condomini è stabilita dall’articolo 1123 del codice civile. Questo prevede che ogni condomino partecipi alle spese in proporzione al valore della sua proprietà.
La disciplina delle spese condominiali in caso di acquisto di una nuova unità immobiliare
Ma cosa succede se, dopo aver acquistato un appartamento, scopriamo che il precedente proprietario non aveva pagato regolarmente le spese condominiali?
Il nuovo proprietario potrebbe essere convinto di non aver alcun obbligo di pagare le spese arretrate, nella convinzione che sia il precedente proprietario a doversene far carico. Tale convenzione, però, è sbagliata.
L’articolo 63 del disposizioni di attuazione del codice civile prevede che chi acquista un’unità immobiliare in un condominio è tenuto, insieme al precedente proprietario, al pagamento delle spese relative all’esercizio in corso e a quello precedente.
Quindi, se acquistassimo un appartamento nell’aprile del 2021, avremmo l’obbligo di pagare non solo le spese condominiali del periodo successivo all’acquisto. Dovremo anche pagare quelle dovute per il 2020 e per i primi mesi del 2021, qualora il precedente proprietario non le avesse versate. Ovviamente, continuerà ad essere obbligato al pagamento, insieme a noi, anche il precedente proprietario.
Le spese straordinarie
Questo discorso generale va in parte modificato per le spese cosiddette straordinarie. Si tratta di quelle spese che vanno a finanziare interventi di manutenzione straordinaria, conservazione o rifacimento degli impianti o delle parti comuni. In questo caso ciò a cui si fa riferimento è il momento dell’approvazione della spesa da parte dell’assemblea condominiale.
Quindi, sempre nel caso del nostro esempio, saremmo obbligati , sempre insieme al precedente proprietario, a pagare soltanto le spese straordinarie deliberate dall’assemblea nel 2021. Oppure, tutt’al più, nel 2020, ma non quelle deliberate nell’anno 2019.
E se non il nuovo proprietario non vuole pagare?
In questi casi, l’obbligo, che l’amministratore di condominio ha la facoltà di rivolgersi al Giudice e chiedere l’emissione, nei confronti del nuovo proprietario, di un decreto ingiuntivo.
E nel caso di un immobile acquistato all’asta?
Nel caso in cui un immobile viene prima pignorato e poi messo all’asta, è estremamente probabile che il proprietario non sia stato nemmeno in grado di pagare regolarmente le spese condominiali.
È bene, dunque, informarsi adeguatamente prima di procedere all’acquisto dell’immobile, che potrebbe apparire particolarmente appetibile perché conveniente. Se, infatti, il condominio non fosse riuscito a recuperare le spese condominiali arretrate, il nuovo proprietario dovrebbe farsi carico delle spese relative all’anno in corso e a quello precedente.
Questo articolo ti è stato utile? Scopri i nostri articoli in materia di condominio e, se hai bisogno di assistenza, contatta il nostro studio: la prima consulenza è senza impegno!
Articolo scritto in collaborazione con l’avvocato Alice Pizzo
Riguardo alla figura dell’Amministratore di Condominio, dei suoi doveri e delle sue prerogative, abbiamo già parlato in precedenza, ma non abbiamo ancora parlato di un organo che, in realtà, in ambito condominiale detiene il vero potere decisionale. Trattando della nomina dell’amministratore di condominio, abbiamo detto che il codice prevede sia fatta dall’assemblea di condominio. Ma cos’è e quali sono le sue funzioni?
L’assemblea di condominio, o dei condòmini, è l’organo deliberativo formato dalla riunione di tutti i partecipanti alla comunione dell’edificio, che ha l’opportunità di esprimere la propria volontà attraverso il voto.
il proprietario pro quota (art. 67 disp. att. c.c.)
il nudo proprietario (art. 67 disp. att. c.c., per quanto concerne le delibere in materia di innovazioni o manutenzioni straordinarie)
l’usufruttuario (art. 67 disp. att. c.c., per le delibere in materia di ordinaria manutenzione e godimento dei beni comuni)
il conduttore (art. 10, L. 392/1978, in caso di delibere sulla gestione del riscaldamento e condizionamento d’aria)
In concreto, quali sono le funzioni dell’assemblea di condominio?
In primo luogo, l’Assemblea di Condominio si incarica di nominare confermare o revocare l’amministratore di condominio. Determina inoltre il suo compenso, e stabilisce che la nomina sia subordinata alla presentazione da parte dell’amministratore di una polizza individuale di assicurazione per la responsabilità civile a copertura degli atti compiuti nell’esercizio del mandato. Infine, l’assemblea di condominio può conferire maggiori attribuzioni all’amministratore, ossia ne allarga la sfera d’azione attribuendogli, appunto, nuove funzioni.
Assemblea di condominio: la gestione del denaro comune
In secondo luogo l’assemblea approva il preventivo di spesa e sua ripartizione, come pure il rendiconto annuale e l’impiego del residuo attivo di gestione, i soldi che rimangono in cassa dopo la chiusura dell’anno di esercizio. Provvede, inoltre, all’approvazione delle opere di manutenzione straordinaria e delle innovazioni, come pure della costituzione dei relativi fondi speciali necessari alla loro attuazione.
L’ammodernamento, la ricostruzione e il regolamento di condominio.
L’assemblea può approvare la ricostruzione parziale o totale dell’edificio e nel caso autorizzare l’amministratore a partecipare a progetti e iniziative territoriali volte al risanamento delle parti comuni dell’edificio. Questo allo scopo di favorire il recupero del patrimonio edilizio esistente, la sicurezza e la sostenibilità ambientale.
La pacifica convivenza fra condomini è uno dei tasselli che compongono il puzzle di una vita serena.
Spesso, però, la serenità viene meno, e sorge la necessità di dirimere questioni complesse nel rispetto dei punti di vista differenti e della reciproca civile considerazione. Se hai bisogno di un professionista non esitare a contattare il nostro studio: la prima consulenza è senza impegno!
Articolo realizzato in collaborazione con la dottoressa Giulia Piccolo