promessa di matrimonio

Promessa di matrimonio: molto più di un momento romantico!

Le stesse parole promessa di matrimonio evocano alla mente immagini molto precise, commoventi e forse un po’ stereotipate. Lui in ginocchio con un bellissimo tramonto sullo sfondo, un anello adagiato sul suo cofanetto fra le mani, mentre lei, emozionata e con la voce rotta dalla commozione, sussurra il fatidico sì.

Scene da romanzo che tutti e tutte vorremmo vivere una volta nella vita… ma al di là dei cliché, dietro al concetto di Promessa di matrimonio c’è ben di più, e non solo a livello emotivo! Si tratta di un vero e proprio istituto giuridico: cerchiamo di capirlo!

Promessa di matrimonio, oltre il romanticismo!

La promessa di matrimonio è un istituto da molti, oggi, considerato obsoleto. Sicuramente un qualsiasi studente di Giurisprudenza, quando si trova a dover studiare gli articoli 79-80 e 81 del codice civile, rimane perplesso e stupito, convinto che si tratti di qualcosa, al più, di “pittoresco” ma totalmente inattuale.

Qui sta il bello della professione, ossia il fatto che, per citare Pirandello, la realtà supera sempre la fantasia. Così succede che l’avvocato si trovi a fare i conti con quei tre “antichi” articoli che tanto lo avevano fatto sorridere da studente e che certamente aveva nel fondo della sua memoria e dei suoi appunti. Succede quando arriva in studio il promesso sposo abbandonato sull’altare e che ha il vestito da cerimonia già confezionato. Oppure la promessa sposa tradita prima del fatidico giorno, con l’agenzia di viaggi che chiede il saldo di un viaggio di nozze che nessuno farà mai. O ancora la futura sposa che non intende in alcun modo restituire il prezioso anello di fidanzamento regalato anni addietro. O, infine, i poveri genitori dei promessi sposi che hanno dato fondo ai loro risparmi per costruire il nido d’amore rimasto vuoto.

Ma in cosa consiste la promessa di matrimonio?

La promessa di matrimonio a cui fa riferimento il codice è quella solenne , ed è quella che fa chiunque si reca in Comune a chiedere le pubblicazioni del matrimonio. Si sostanzia, quindi, nel promettersi vicendevolmente di convolare a nozze.

Il codice chiarisce immediatamente che si tratta, in realtà, di una promessa senza alcun carattere vincolante per il principio della libertà matrimoniale, considerato un diritto della personalità. Tuttavia, il non dar seguito alla promessa ha delle conseguenze, in senso lato, economiche.

Innanzi tutto è possibile chiedere la restituzione dei doni fatti a causa del matrimonio se questo non è stato contratto. Questo entro il termine di un anno dal momento del rifiuto o la morte di uno dei futuri sposi. Non ci si riferisce solo al classico anello di fidanzamento. Secondo la dottrina , il termine è ben più esteso e si riferisce anche alla corrispondenza epistolare, ossia alle lettere, e alle fotografie.

Tutto questo è possibile perché la promessa di matrimonio produce effetti definitivi a prescindere dalla circostanza che i fidanzati abbiano deciso se e quando sposarsi. Gli effetti, tuttavia, possono essere rimossi per il solo fatto che non sia seguito il matrimonio, indipendentemente dalla causa della rottura del fidanzamento. In definitiva ciò significa che chiunque dei due promittenti ha diritto a richiedere la restituzione dei doni fatti durante il fidanzamento. Anche colui che con il suo comportamento ha dato origine al venir meno della promessa.

Dunque nel rompere una promessa di matrimonio il concetto di colpa non gioca alcun ruolo?

Non esattamente: la norma prevede, in effetti, l’obbligo di risarcire i danni cagionati all’altra parte dal promittente che, senza giusto motivo, ricusi di eseguire la promessa di matrimonio. Insomma, lo sposo o la sposa abbandonata sull’altare ha diritto di chiedere il risarcimento del danno. Questo sia per le spese fatte che per le obbligazioni contratte a causa di quella promessa.

Questo significa che il promesso sposo o sposa abbandonato o abbandonata in prossimità delle nozze, potrà chiedere all’altro di non fargli o farle gravare le spese fatte per le nozze stesse. Si pensi al vestito degli sposi, al ristornate, alle partecipazioni e alla bomboniere. Ma anche ai mobili acquistati per la nuova casa o, ancora la casa stessa. Tuttavia, bisognerà valutare, al fine di determinare quale tipo di danno, se il bene acquistato dal promittente deluso sia ancora utilizzabile, così come la nuova casa o gli arredi della stessa.

A quanto può ammontare il risarcimento, e possono richiederlo anche terze parti?

Accanto al limite qualitativo, che esclude quindi possa essere risarcito il lucro cessante, o il danno morale, la norma prevede, altresì, un limite quantitativo. Il danno è risarcito solo nel limite in cui le spese corrispondano alla condizione delle parti, ossia alla condizione economica dello sposo o della sposa. È buona norma quindi, quando si vuole intraprendere la strada del matrimonio, di contenere le spese entro le proprie possibilità ma soprattutto, entro le possibilità dell’altra parte. D’altro canto, non si sa mai!

E i terzi possono agire? Possono i genitori, per esempio, agire nei confronti di colui che ha rotto il fidanzamento se hanno sostenuto spese per il figlio o la figlia? La questione è dibattuta, tuttavia, trattandosi di un’obbligazione extracontrattuale, si deve ritenere che gli stessi siano legittimati ad agire.

Quella di una mancata promessa di matrimonio è una condizione estrema e traumatica, che nessuno di noi nella vita vorrebbe vivere. 

Purtroppo però la vita è imprevedibile, e talvolta ci getta in situazioni da cui dobbiamo uscire con la giusta preparazione e il giusto supporto! Per questo occorre sempre tenere a mente il professionista che possa aiutarci in qualsiasi situazione.

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Articolo scritto in collaborazione con l’avvocato Marta Michelon

rappresentanza e procura

Rappresentanza e procura: uno sguardo alla legge

Spesso, per portare a termine operazioni o affari per cui non possediamo la preparazione tecnica adeguata, abbiamo bisogno del supporto di un esperto. 

È in questo caso che subentra il concetto di “Rappresentanza”, ossia il concetto giuridico che prevede che un soggetto agisca per conto e nell’interesse di un altro

La terminologia, fra il concetto di rappresentanza, procura o mandato, rischia spesso di generare confusione. Cerchiamo allora di comprendere in cosa consista la materia e dotarci sia di un glossario che di una comprensione di base di come questi meccanismi giuridici funzionino. 

Rappresentanza

Innanzitutto, definiamo il concetto stesso di “rappresentanza”: sussiste nel momento in cui un soggetto ha il potere di compiere uno o più atti giuridici nell’interesse di un altro soggetto. Si parla quindi di Rappresentante nel caso di colui che compie l’atto, e di Rappresentato nel caso di colui nel nome del quale l’atto viene compiuto

Il potere che il Rappresentato attribuisce al Rappresentante è detto “Rappresentanza volontaria.”

Procura o Delega

L’atto giuridico con cui il rappresentato attribuisce al rappresentante il potere di rappresentanza per il compimento del negozio giuridico è detto Procura o impropriamente Delega. La Procura è un atto unilaterale attraverso il quale il rappresentato dichiara che sussiste un rapporto di rappresentanza verso terzi soggetti. In soldoni, si tratta di una dichiarazione con la quale il rappresentato dichiara che per un determinato affare il rappresentante agirà a suo nome nei rapporti con terze parti.

Mandato

Il Mandato è , diversamente dalla procura, un vero e proprio contratto fra due parti, in cui un soggetto (o mandatario) si obbliga a compiere uno o più atti giuridici in nome di un secondo soggetto (o mandante). 

Il mandato può essere con o senza rappresentanza: quando il mandato è con rappresentanza, il mandatario dichiara di agire in nome e per conto del mandante nel compimento del negozio giuridico. Questo significa che gli effetti del negozio concluso ricadono direttamente in capo al mandante. Nel caso di mandato senza rappresentanza, invece, è necessario che il mandante dia l’autorizzazione personalmente alla conclusione del negozio.

Falsus procurator

La legge contempla anche la figura del Falso Procuratore, ossia un caso di rappresentanza senza potere. Nel caso del Falsus procurator, il rappresentante agisce del tutto privo della procura. Può verificarsi anche caso in cui il rappresentante, pur avendo la procura del rappresentato, agisca eccedento i limiti della procura stessa e quindi esorbitando i suoi poteri.

Questo caso si può presentare quando un terzo soggetto conclude un contratto con un rappresentante che non ha poteri per farlo. 

In questo caso, il contratto è inefficace: non si producono gli effetti in capo a nessuna delle parti.

Inoltre, il Falso Procuratore è tenuto a risarcire gli eventuali danni che il terzo contraente possa subire dopo aver stipulato il contratto, confidando nel suo buon esito, purché questi ignorasse la mancata procura. 

La legge prevede infatti che il terzo contraente abbia l’onere di controllare la legittimazione della controparte e richiedene prova. Nel caso in cui, infatti, ci si presentasse davanti un soggetto che asserisca di agire per procura rispetto a un altro soggetto, noi saremo tenuti a controllare e richiedere la prova che questo sia vero per poter essere pienamente tutelati. 

La Ratifica

Può darsi il caso in cui un contratto concluso da un falso procuratore rientri nell’interesse del falsamente rappresentato. In questo caso, questi avrà interesse ad accettare l’operato del falso procuratore.

Per fare ciò dovrà porre in essere una ratifica: un atto in cui il falso rappresentato dichiara di accettare l’atto del falso procuratore ed appropriarsi dei suoi effetti. Pertanto, si sana l’eccesso o il difetto di potere del falso procuratore, e si accetta il contratto già stipulato senza la necessità di realizzarne un altro. 

La ratifica produce i suoi effetti dal momento in cui il terzo soggetto (il contraente del contratto) ne viene a conoscenza. La ratifica può essere espressa sia verbalmente che per iscritto e anche tacitamente per fatti concludenti, ossia quando il falsamente rappresentato non fa nulla per rifiutare il contratto stipulato.

E dal punto di vista formale?

Che forma deve avere una procura?

Il codice civile dispone che la procura debba avere la stessa forma richiesta per il negozio principale

Quindi, nel caso in cui il contratto da concludersi richiede una forma scritta per essere valido, sarà necessaria una procura in forma scritta. In tutti gli altri casi è sufficiente che, davanti ai terzi, sia chiaro e non equivocabile che il rappresentante sta agendo nel nome del rappresentato. 

Il fatto di agire in nome del rappresentato prende il nome di “Contemplatio Domini”.

Vuoi approfondire il concetto di rappresentanza legale?

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Articolo scritto in collaborazione con la dottoressa Giulia Piccolo

ius soli

Ius soli: la prossima tappa per i diritti civili

Ogni tanto si torna a discuterne ma, fino ad oggi, nessuna decisione politica. Sempre troppo rumore per nulla, dati i risultati per lo meno, Eppure lo ius soli è una delle battaglie più importanti nel panorama dei diritti civili.

In cosa consiste lo Ius Soli?

Lo Ius soli è un’espressione giuridica, in latino «diritto del suolo». Indica l’acquisizione della
cittadinanza di un determinato Paese come conseguenza del fatto giuridico di essere nati sul suo territorio, indipendentemente dalla cittadinanza dei genitori.

Sostanzialmente, dunque, si tratta di una tecnica per ottenere la cittadinanza di uno Stato. Dello Ius Soli
abbiamo diverse versioni giuridiche a seconda del Paese che lo ha adottato. Quasi tutti i Paesi del
Continente Americano, dal Brasile al Canada agli Stati Uniti, applicano lo Ius Soli automatico,
incondizionato. Al nascere all’interno dei confini del paese, la persona acquisisce la cittadinanza.

Sottostanno ad alcune precondizioni lo Ius Soli di alcuni Paesi europei come la Germania. Prevede
l’attribuzione della cittadinanza al nuovo nato se almeno uno dei due genitori risiede regolarmente nel
paese da almeno 8 anni.

E in Italia lo Ius Soli esiste?

Nel nostro Paese è attualmente vigente una diversa concezione del diritto di cittadinanza. Infatti si
acquisisce la cittadinanza, tra le altre ipotesi, per Ius Sanguinis, dal latino, “diritto di sangue”. Se si
nasce o si è adottati da cittadini italiani come prevede la legge sulla cittadinanza.

Tra l’altro questa legge è stata modificata sia dal Decreto Sicurezza dell’allora Ministro dell’Interno Salvini sia dal cosiddetto Decreto Lamorgese, nuova Ministra dell’Interno.

Come si accede alla cittadinanza?

La modalità più frequente è quella che consente di chiedere la cittadinanza italiana agli stranieri residenti
regolarmente in Italia da almeno 10 anni
, e sulla continuità della residenza si aprono numerosi
problemi.

Inoltre il richiedente deve dimostrare di avere redditi sufficienti al sostentamento. Nei tre anni
precedenti la richiesta dovranno essere di almeno 8263,31 € nel caso in cui non abbiano moglie o figli, diversamente il tetto di reddito aumenta. Occorre dimostrare di non avere precedenti penali e di non essere in possesso di motivi ostativi per la sicurezza della Repubblica. Anche il requisito reddituale a prima vista molto semplice, in realtà per uno straniero con famiglie monoreddito, con numerose persone a carico e con lavori saltuari o non sempre regolari queste cifre sono difficili da documentare.

A ciò si aggiunge una serie di documenti da allegare reperibili solo nel Paese di origine. Talvolta in certi
Stati è difficilissimo anche recuperare un semplice certificato di nascita o certificato penale. In molti casi, non è raro che i dati anagrafici riportati nei certificati originali poi tradotti e asseverati in Italia siano differenti da quelli dichiarati dallo straniero e risultanti nei documenti italiani.

E qui si apre il lungo e difficile lavoro di certificazione, di correzione o di variazione anagrafica che tante volte deve passare anche attraverso un accertamento e una dichiarazione da parte di una Autorità Giudiziaria.

Lo Ius Soli per i figli

Il vero capitolo dolente della nostra normativa ormai datata. Per quanto concerne i figli minori conviventi, nel momento del giuramento del nuovo cittadino italiano, essi diventano automaticamente italiani.

Invece in caso di una persona straniera nata in Italia da genitori stranieri, potrà fare autonoma richiesta di cittadinanza solo al compimento del diciottesimo anno d’età. Tra l’altro, l’amministrazione comunale di
residenza ha il compito di informare i neomaggiorenni di questa opportunità.

In vero problema quindi è per i figli maggiorenni del richiedente cittadinanza. Secondo la legge, qualora
all’ottenimento della cittadinanza il figlio o la figlia siano già diventati maggiorenni, non diventeranno
essi stessi cittadini automaticamente e dovranno avviare autonomamente la loro richiesta. Questo viene
vissuto da molti come una ingiustizia.

La ragione per cui si invoca lo Ius Soli è questa

Questa possibilità renderebbe la procedura di acquisto della cittadinanza dei figli più agile e slegata dalle alterne vicende di quelle dei genitori. Questo può succedere per molte ragioni: prima di tutto il genitore potrebbe non essere stato in regola al momento della nascita del figlio o della figlia. Qualora così non fosse, deve poter dichiarare un reddito sufficiente nei tre anni precedenti la richiesta, cosa niente affatto scontata data la tendenza al lavoro nero.

Infine, un altro ingiustificabile ostacolo sono i tempi burocratici. Con l’accavallarsi delle modifiche la situazione attuale è variegata: se già con la legge 91/1992 i tempi tecnici si definivano approssimativamente in almeno due anni, con il Decreto Salvini questi si sono dilatano a ben 4 anni. Tale termine, da ultimo è stato riportato a 3 anni dal Decreto Lamorgese.

Lo Ius Soli dal punto di vista amministrativo

Il limite, poi, in ogni caso non è perentorio ma ordinatorio: l’iter burocratico può estendersi, in certi casi, per più otto-nove anni dal momento della richiesta. Attualmente la situazione è la seguente:

  • TERMINE PER LE DOMANDE PRESENTATE FINO AL 4/10/18 : 2 ANNI
  • TERMINE PER LE DOMANDE PRESENTATE DAL 5/10/18 AL 20/12/2020 : 4 ANNI
  • TERMINE PER LE DOMANDE PRESENTATE DA 21 DICEMBRE 2020: 3 ANNI

Insomma, l’iter per l’ottenimento della cittadinanza è un procedimento complesso e soprattutto lungo, che solo nominalmente viene garantito dopo dieci anni di residenza regolare.

A questi bisogna aggiungere i tempi per l’ottenimento dei documenti necessari e le dilatazioni rimesse alla discrezionale valutazione dell’autorità amministrativa, facendo balzare i tempi per l’ottenimento della cittadinanza. A quel punto, con ogni probabilità, il figlio o la figlia dell’immigrato sarà già maggiorenne, e dovrà quindi avviare a sua volta una procedura per l’ottenimento della cittadinanza.

Insomma, queste persone nate e cresciute in Italia, educate in Italia e immerse totalmente nel tessuto
sociale italiano. Qualora facessero ogni procedura nelle più brevi tempistiche contemplate dalla legge,
otterrebbero la cittadinanza non prima dei venticinque, ventisei o ventisette anni.

L’entità del problema

Quello dei diritti di cittadinanza per gli immigrati di seconda generazione, o G2, è tutt’altro che un
problema marginale. Secondo il volume “Identità e percorsi di integrazione nelle seconde generazioni in Italia”, edito da Istat nell’aprile del 2020, al 1 gennaio del 2018 erano ben 778.000 gli “stranieri nati sul territorio nazionale da genitori stranieri”. Insomma un problema che riguarda circa una persona ogni otto sul territorio del nostro paese.

Le proposte e le soluzioni possibili

Esiste uno storico delle iniziative parlamentari riguardanti lo Ius Soli a cui possiamo attingere per
farci un’idea riguardo a quella che potrebbe essere una riforma dell’iter per l’ottenimento della cittadinanza per gli stranieri nati in Italia.

Una interessante proposta di legge di riforma della materia, che sembrava destinata al successo, è stata
discussa, e bocciata, nel giugno del 2017 in Parlamento. Possiamo trarre spunto da questa per ipotizzare
una eventuale proposta di riforma futura: la discussione si basava, infatti, su due principi fondamentali: il
cosiddetto Ius Soli Temperato e lo Ius Culturae.

Lo Ius Soli temperato

Lo Ius Soli temperato prevede l’attribuzione della cittadinanza Italiana a chiunque nasca sul suolo
nazionale date alcune condizioni: potrebbero diventare cittadini italiani per nascita i figli, nati nel
territorio della Repubblica
, di genitori stranieri se almeno uno dei genitori è in possesso permesso di
soggiorno UE di lungo periodo e risulta residente legalmente in Italia da almeno 5 anni.

Lo Ius Culturae, invece, prevede che i minori stranieri nati in Italia o qui giunti entro il compimento del
dodicesimo anno d’età, possano acquisire la cittadinanza sempre che abbiano frequentato regolarmente
per almeno cinque anni uno o più cicli presso istituti scolastici del sistema nazionale, o percorsi di
istruzione e formazione professionale triennali o quadriennali.

La frequenza del corso di istruzione dev’essere coronata dalla promozione. I ragazzi arrivati in Italia fra i 12 e i 18 anni, avrebbero potuto ottenere la cittadinanza dopo aver risieduto legalmente in Italia per almeno sei anni. Oltre a questo, aver frequentato un ciclo scolastico coronato da conseguimento del titolo conclusivo.

Per concludere…

Parlando di Ius Soli, non si potrà diventare cittadini italiani per l’esclusivo evento dell’essere nati sul suolo
della Repubblica. Bisognerà invece poter dimostrare uno storico di inserimento sociale, sia da parte dei
propri genitori che da parte del richiedente stesso, qualora non fosse nato in Italia.

Studiando i dati, ci rendiamo conto che il problema è tutt’altro che marginale e che non riguarda cittadini stranieri o che nulla hanno a che fare, ancora, col tessuto sociale, produttivo e intellettuale del nostro paese.

Riguarda invece tre quarti di milione di giovani perfettamente immersi e integrati nel nostro Paese,
che larga parte delle forze politiche del nostro Paese ritiene di dover incentivare a continuare a farne
parte, agevolandone l’integrazione amministrativa e legale a fronte di un’integrazione effettiva che è già una realtà.

Acquistare la cittadinanza non è una procedura facile

Per questo è sempre meglio affidarsi ad un legale. Se ne hai bisogno, contatta il nostro studio: la prima consulenza è senza impegno.