recesso anticipato

Recesso anticipato dal contratto di lavoro a termine

In tempi simili, trovare un lavoro è davvero complicato, e, anche nel momento in cui lo si trova, non è detto che le condizioni siano stabili. I contratti a tempo determinato sono all’ordine del giorno, e non offrendo condizioni ideali moltissime persone continuano la ricerca di un lavoro migliore pur lavorando già con contratto a termine. E nel caso lo si trovi? Esiste la possibilità di recesso anticipato da un contratto di lavoro a termine?

Un lavoratore può recedere anticipatamente da un contratto di lavoro a termine?

La disciplina dell’istituto del preavviso, regolata dall’articolo 2118 del codice civile, prevede espressamente la possibilità, di ciascuno dei contraenti, di recedere dal contratto di lavoro, dando il preavviso, nel termine e nei modi stabiliti dalle norme corporative, dagli usi o secondo equità, soltanto per i contratti di lavoro a tempo indeterminato.

La clausola di recesso anticipato, del rapporto di lavoro, con contestuale preavviso scritto a mezzo lettera raccomandata, nei termini previsti dai propri Contratti Collettivi Nazionali del Lavoro applicabile al settore lavorativo di appartenenza, può, pertanto, operare solo per i contratti a tempo indeterminato e non può essere applicata, pur se inserita volontariamente e consensualmente dalle parti, per i contratti a tempo determinato.

Questo discende dalla logica del contratto di lavoro a termine: un contratto di lavoro voluto dalle parti con una determinata scadenza significa che entrambi hanno interesse a che il lavoro continui almeno fino a quella data!

In caso di recesso anticipato dal contratto a termine si deve dare il preavviso?

Occorre ricordare che, alla fattispecie in esame, non si applicano le norme sul preavviso, poiché si ritiene che le parti siano a conoscenza, sin dall’inizio, della naturale scadenza originariamente pattuita.

Cosa succede se il lavoratore recede dal contratto prima della sua scadenza?

Nel caso di recesso anticipato dal contratto di lavoro a tempo determinato, senza giusta causa, è possibile che il datore di lavoro richieda i danni al prestatore di lavoro.

Secondo la giurisprudenza consolidata, la parte che recede – fuori dai casi che vedremo che sono legittimi – sarà obbligata a risarcire il danno, che di norma il giudice liquida in via equitativa, quantificabile nelle retribuzioni che intercorrono tra la data del recesso e la scadenza del termine inizialmente fissato, salvo che non si provi il maggior danno.

In caso di recesso anticipato del lavoratore, in effetti, il datore di lavoro perde sia la forza lavoro, ossia il lavoratore di cui aveva bisogno fino alla data concordata ma potrebbe avere ulteriori danni quali ad esempio un ritardo nelle commesse e nei lavori assunti per conto terzi, una interruzione in una catena di lavorazione, oppure avere dei costi per la ricerca di personale sostitutivo oppure non riuscire a trovare un idoneo sostituto (pensiamo al caso ad esempio dell’unico cuoco in una cucina di un ristorante…)

Le ipotesi di danno potrebbero essere molteplici. Pertanto, è necessario poter valutare la condotta del prestatore di lavoro, per capire se possa sussistere la possibilità di una richiesta da parte del datore di lavoro, di risarcimento danni, causati dallo stesso lavoratore all’azienda, in relazione al recesso anticipato dal contratto di lavoro.

Ci sono delle ipotesi legittime di chiusura anticipata del rapporto di lavoro a tempo determinato?

Ovviamente ci sono dei casi in cui il lavoratore può recedere anticipatamente dal contratto a tempo determinato. Il primo caso è quando ci sia una giusta causa, ossia una ragione grave che non consenta la prosecuzione neanche temporanea del rapporto di lavoro. La seconda ipotesi è quando ci sia una risoluzione per mutuo consenso, ossia quando entrambe le parte sono concordi nel chiudere prima il rapporto di lavoro. L’ultima ipotesi è quando per impossibilità sopravvenuta della prestazione non è possibile continuare il rapporto di lavoro

Un recesso anticipato non è un problema, se si è seguiti da un professionista

Nel diritto del lavoro è veramente facile fare qualche azione avventata, violare inconsapevolmente qualche clausola contrattuale o affrontare una situazione con ingenua leggerezza. Per evitare problemi la cosa migliore è sempre farsi seguire da un professionista: se ne hai bisogno rivolgiti al nostro studio, tutela i tuoi diritti!

Articolo scritto in collaborazione con l’avvocato Maria Monica Bassan

tirocinio

Tirocinio: una porta aperta sul mondo del lavoro

Spesso, purtroppo, sentiamo parlare di incidenti sul lavoro nei quali sono coinvolti giovani tirocinanti. Allora l’opinione pubblica si indigna, gli studenti protestano e molti insistono per una riforma delle norme sul tirocinio o stage.

Ma quanto ne sappiamo davvero di questo istituto che, seppur controverso, costituisce un‘importante fase del percorso di ingresso nel mondo del lavoro? Vediamo nel dettaglio di cosa si tratta!

Tirocinio e stage sono la stessa cosa? 

A questa domanda possiamo rispondere semplicemente di sì: stage e tirocinio sono in effetti la stessa cosa. Nessuno dei due, però, è un rapporto di lavoro!

Cosa si intende con il termine “tirocinio”?

Il tirocinio, poi, si divide a sua volta in tre categorie: curricolare, non curricolare e per studenti universitari. 

Parliamo di tirocini curricolari intendendo tirocini inclusi nel piano di studi scolastico o universitario, il cui scopo è affinare il processo formativo grazie a un’esperienza pratica. È questo il caso dell’alternanza scuola-lavoro, di cui tanto si sente parlare ultimamente.

Il tirocinio non curricolare, invece, è rivolto a neo diplomati o neo laureati. Questa tipologia di tirocinio, infatti, dovrebbe rendere più facili le scelte professionali di chi abbia completato un ciclo di studi. Allo stesso tempo, possono accedere a questa tipologia di stage anche coloro che appartengono a una fascia debole, come ad esempio i disoccupati, allo scopo di acquisire una specifica professionalità.

Infine, vi è il tirocinio per studenti universitari, destinato a persone che stanno portando avanti un percorso formativo universitario ed attivato dall’Università stessa. È inteso a favorire l’occupazione degli studenti, si appoggia a enti pubblici o privati e ha una durata di minimo tre mesi. 

Chi stabilisce le regole dei tirocini?

La disciplina dei tirocini è competenza delle Regioni o delle Province autonome, nel rispetto delle “Linee guida in materia di tirocini” stabilite dalla Conferenza Stato Regioni nel 2013, aggiornate poi nel 2017.

Le Linee Guida, però, si occupano soltanto della materia dei tirocini extracurriculari, per quanto riguarda l’inserimento lavorativo o l’orientamento. 

Queste Linee Guida stabiliscono le regole basilari dell’istituto del tirocinio. 

Innanzitutto la durata, che, tendenzialmente, va dai 2 ai 12 mesi. In questo periodo non viene computata, però, l’eventuale sospensione per maternità, per infortunio o per chiusura aziendale. 

Le Linee Guida prevedono poi che debbano esistere sia un soggetto promotore sia un soggetto ospitante. Il primo soggetto promuove e attiva il tirocinio, monitorando la realizzazione degli obiettivi formativi.

L’altro soggetto, l’ospitante, ospita, appunto, il tirocinante: si tratta infatti del soggetto presso il quale si svolge il tirocinio, che deve essere in regola con le norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro e che, oltre a dover assicurare la realizzazione del tirocinio, deve garantire un’adeguata informazione e formazione in materia di salute e sicurezza. Sempre l’ospitante deve farsi carico della sorveglianza sanitaria e mettere a disposizione del tirocinante attrezzature ed equipaggiamenti. 

In ogni caso, promotore e ospitante sono tenuti a stupulare una convenzione di tirocinio, nel quale vengono specificati, tra le altre cose, gli obblighi di entrambi i soggetti e la durata complessiva del tirocinio.

Alla convenzione deve sempre essere allegato il piano formativo individuale, o PFI, che contiene l’indicazione degli obiettivi formativi da raggiungere nel corso del periodo di tirocinio.

Lo svolgimento dell’attività da parte del tirocinante è sorvegliato da due tutor, uno presente presso il promotore e uno presso l‘ospitante. Particolarmente importante è il ruolo del tutor presso il soggetto ospitante: Egli, infatti, deve affiancare il tirocinante sul luogo di lavoro e deve avere competenze adeguate a garantire il raggiungimento degli obiettivi previsti nel PFI.

Si tratta di un rapporto retribuito è retribuito?

Per chi svolge il tirocinio non è prevista alcuna retribuzione.

Tuttavia, nelle Linee Guida si prevede l’obbligo di corrispondere al tirocinante una indennità, tendenzialmente non inferiore ai 300 euro mensili. 

Quando non è possibile avviare un tirocinio? 

Il tirocinio ha natura formativa e, di conseguenza, non può essere utilizzato per far fronte a temporanee necessità aziendali. Dunque,ad esempio, non potrà essere utilizzato per sostituire altri lavoratori assenti per ferie, malattia o maternità.

Non è inoltre possibile avviare un periodo di tirocinio con un soggetto che abbia già lavorato per il soggetto ospitante nei due anni precedenti o che abbia già fatto altri tirocini presso lo stesso soggetto. Spesso, purtroppo, il tirocinio viene utilizzato in maniera scorretta,per mascherare un vero e proprio rapporto di lavoro.

Sei sicuro di essere parte di un rapporto di tirocinio regolare? Esserne sicuri è importante: contatta il nostro studio per saperne di più: tutela i tuoi diritti!