tempo di viaggio

Tempo di viaggio e di lavoro

Spesso pensiamo che la contrattazione e la definizione delle condizioni lavorative riguardino solo il tempo che spendiamo materialmente sul posto di lavoro, o per lo meno il tempo che, da contratto, dovremmo spendere lavorando. Eppure non è così: la definizione delle condizioni lavorative può anche andare oltre quei confini, fino ad abbracciare il tempo di viaggio per andare al lavoro. Ecco come.

Ma se il posto di lavoro è lontano da casa, il tempo di viaggio per arrivare al lavoro può essere retribuito?

La legge è chiara: non si computa come orario di lavoro il tempo impiegato per recarsi sul posto di lavoro ed il relativo ritorno, salvo diverse disposizioni dei contratti collettivi (D.Lgs. n. 66/2003).

Tuttavia, ci sono casi in cui il tempo di viaggio necessario per raggiungere il luogo di lavoro rientra nell’orario di lavoro ed è quindi computabile come prestazione lavorativa.

Quando?

Quando questo spostamento sia prestato in dipendenza del rapporto di lavoro e sia funzionale al rapporto stesso, in quanto indispensabile alla prestazione principale.

Secondo la Suprema Corte di Cassazione rientra in questa fattispecie l’ipotesi del lavoratore che sia obbligato a presentarsi presso la sede aziendale (per esempio per prendere il veicolo aziendale oppure per prendere del materiale o del vestiario) e sia poi di volta in volta inviato in diverse località per svolgere la sua prestazione lavorativa. E’ il caso tipico delle imprese edili o di manutenzione degli impianti.

Diverso è il caso della trasferta

Dice la giurisprudenza: 

“… salvo diverse previsioni contrattuali, il tempo impiegato giornalmente per raggiungere la sede di lavoro durante il periodo della trasferta non può considerarsi come impiegato nell’esplicazione dell’attività lavorativa vera e propria, non facendo parte dell’orario di lavoro effettivo, e non si somma quindi al normale orario di lavoro”. (Cassazione, sentenza n. 5701 del 22 marzo 2004)

l tempo impiegato dal lavoratore per raggiungere la sede di lavoro durante la trasferta, quindi, non è attività lavorativa ed il disagio che deriva al lavoratore è assorbito dall’indennità di trasferta. Lo ha precisato il Ministero del lavoro con l’interpello int. n. 15/2010.

In ogni caso, per quanto riguarda il trattamento delle ore di viaggio dei lavoratori inviati in trasferta, occorre verificare sempre la disciplina della contrattazione collettiva.

Il tempo di viaggio: solo uno dei molti dettagli!

Il diritto del lavoro è una materia davvero complessa, che però è tutto’altro che accademica! Infatti, ogni dettaglio di un contratto influenza direttamente uno degli spazi che viviamo più intensamente, quello del lavoro, impattando direttamente e tangibilmente sulla qualità della nostra vita. Per questo, quando ci troviamo a dover dirimere questioni sul posto di lavoro, è sempre meglio farsi rappresentare da un legale competente: contatta il nostro studio se ne hai bisogno, tutela i tuoi diritti!

contratto a tempo determinato

Contratto a tempo determinato: ormai una prassi nel mondo del lavoro

Da decenni, ormai, il mondo del lavoro va complicandosi. Non si arricchisce solo di nuove professionalità, ma anche di nuove forme contrattuali, che offrono ai lavoratori più o meno tutele e ai datori di lavoro più o meno garanzie. Ci siamo già occupati, in altri articoli, sia della differenza tra lavoro autonomo e lavoro subordinato sia del tirocinio o stage. Con l’articolo di oggi continuiamo a parlare di contratti di lavoro, prendendo in esame il contratto a tempo determinato o a termine, una delle forme contrattuali più utilizzate al giorno d’oggi.

Cosa si intende quando si parla di contratto a tempo determinato?

Innanzitutto, il contratto di lavoro a tempo determinato fa sorgere un rapporto di lavoro subordinato.

La caratteristica che contraddistingue il contratto di lavoro a termine è la sua durata predeterminata nel tempo. Infatti, nel contratto che si sottoscrive al momento dell’assunzione, deve essere sempre specificata non solo la data in cui il rapporto di lavoro ha inizio, ma anche quella in cui esso avrà fine. Salvo eccezioni, poi, il rapporto si estinguerà automaticamente alla scadenza indicata. Dunque, la distinzione principale tra contratto a tempo indeterminato e determinato sta proprio nell’esistenza o meno di un termine finale.

La precarietà dei rapporti di lavoro a termine

Già da quanto detto finora risulta evidente che il contratto di lavoro a tempo determinato dà minori garanzie al lavoratore. Il neoassunto, infatti, si trova in una condizione di precarietà: il rapporto di lavoro che si viene a costituire non è stabile nel tempo.

Per tale ragione, questa tipologia di contratto è stata per lungo tempo malvista dal Legislatore e il suo utilizzo era consentito soltanto in via del tutto eccezionale. Tuttavia, nel tempo è emersa, parallelamente all’esigenza di tutelare i lavoratori, anche quella di sostenere le imprese, fornendo loro strumenti che ne aumentassero la competitività. Negli anni, dunque, si è compreso che il lavoro a tempo determinato, il cosiddetto lavoro “flessibile”, è un elemento fisiologico del mercato del lavoro. Questo perché consente di ridurre il costo del lavoro che le imprese si trovano a dover sostenere. Questa consapevolezza acquisita si è tradotta, nell’ultimo ventennio, in una serie di interventi legislativi volti a regolamentare, e non più a limitare, l’utilizzo dei contratti di lavoro a tempo determinato.

Ma come funziona il contratto a tempo determinato?

Secondo la legislazione vigente, il contratto di lavoro a termine deve essere stipulato per iscritto, salvo che abbia durata inferiore ai 12 giorni; in mancanza di un documento scritto, il contratto si intende stipulato a tempo indeterminato.

Inoltre, secondo quanto previsto dall’art. 19, D. Lgs. n. 81/2015, come modificato dal D.L. 87/2018, tendenzialmente non può avere durata superiore a 12 mesi.

È possibile aumentare la durata massima del contratto sino a 24 mesi, ma soltanto in presenza di una delle seguenti condizioni o causali, che devono essere espressamente indicate:

  • esigenze aziendali temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività, ossia non rientranti in quella tipicamente svolta dall’azienda;
  • specifiche esigenze di sostituzione di altri lavoratori;
  • determinate esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività ordinaria, che dunque non possono essere affrontati con il personale in forze;
  • specifiche esigenze previste dai contratti collettivi.

Prosecuzione oltre il termine: proroga o rinnovo?

Quando il contratto giunge al termine stabilito, come già detto, esso scade automaticamente. Tuttavia, è consentito proseguire il rapporto di lavoro in essere per un ulteriore periodo di tempo, in due modi: con la proroga o con il rinnovo del contratto.

PROROGA

In caso di proroga il rapporto non si interrompe, ma continua senza soluzione di continuità per un periodo ulteriore di volta in volta stabilito.

Attenzione però: il termine non può essere prorogato all’infinito, ma soltanto fino ad un massimo di quattro volte. Inoltre, mentre nei primi dodici mesi del rapporto la proroga è libera, superati i dodici mesi nella comunicazione di proroga devono anche essere specificate le condizioni o causali di cui all’art. 19.

RINNOVO

Oltre a poter essere prorogato, il contratto a termine può anche essere rinnovato.

La differenza tra proroga e rinnovo consiste nel fatto che in questo secondo tra il primo contratto e il suo rinnovo decorre un certo lasso di tempo, mai inferiore a dieci giorni.

Anche per il rinnovo del contratto sono previsti alcuni limiti. Il contratto a termine, infatti, può essere rinnovato solo in presenza delle già richiamate causali e, comunque, per un periodo complessivo non superiore a 24 mesi.

Sei certo che il tuo contratto a tempo determinato sia corretto?

Il diritto del lavoro è una materia davvero complicata e ricca di sfaccettature, lo sappiamo! Per questo, sia che tu sia un lavoratore che teme che il suo contratto non sia corretto, sia che tu sia un datore di lavoro che vuole predisporre i contratti di lavoro nel modo migliore, è bene che tu ti rivolga ad un legale.

Se hai bisogno di assistenza da parte di un avvocato contatta il nostro studio: tutela i tuoi diritti!

tirocinio

Tirocinio: una porta aperta sul mondo del lavoro

Spesso, purtroppo, sentiamo parlare di incidenti sul lavoro nei quali sono coinvolti giovani tirocinanti. Allora l’opinione pubblica si indigna, gli studenti protestano e molti insistono per una riforma delle norme sul tirocinio o stage.

Ma quanto ne sappiamo davvero di questo istituto che, seppur controverso, costituisce un‘importante fase del percorso di ingresso nel mondo del lavoro? Vediamo nel dettaglio di cosa si tratta!

Tirocinio e stage sono la stessa cosa? 

A questa domanda possiamo rispondere semplicemente di sì: stage e tirocinio sono in effetti la stessa cosa. Nessuno dei due, però, è un rapporto di lavoro!

Cosa si intende con il termine “tirocinio”?

Il tirocinio, poi, si divide a sua volta in tre categorie: curricolare, non curricolare e per studenti universitari. 

Parliamo di tirocini curricolari intendendo tirocini inclusi nel piano di studi scolastico o universitario, il cui scopo è affinare il processo formativo grazie a un’esperienza pratica. È questo il caso dell’alternanza scuola-lavoro, di cui tanto si sente parlare ultimamente.

Il tirocinio non curricolare, invece, è rivolto a neo diplomati o neo laureati. Questa tipologia di tirocinio, infatti, dovrebbe rendere più facili le scelte professionali di chi abbia completato un ciclo di studi. Allo stesso tempo, possono accedere a questa tipologia di stage anche coloro che appartengono a una fascia debole, come ad esempio i disoccupati, allo scopo di acquisire una specifica professionalità.

Infine, vi è il tirocinio per studenti universitari, destinato a persone che stanno portando avanti un percorso formativo universitario ed attivato dall’Università stessa. È inteso a favorire l’occupazione degli studenti, si appoggia a enti pubblici o privati e ha una durata di minimo tre mesi. 

Chi stabilisce le regole dei tirocini?

La disciplina dei tirocini è competenza delle Regioni o delle Province autonome, nel rispetto delle “Linee guida in materia di tirocini” stabilite dalla Conferenza Stato Regioni nel 2013, aggiornate poi nel 2017.

Le Linee Guida, però, si occupano soltanto della materia dei tirocini extracurriculari, per quanto riguarda l’inserimento lavorativo o l’orientamento. 

Queste Linee Guida stabiliscono le regole basilari dell’istituto del tirocinio. 

Innanzitutto la durata, che, tendenzialmente, va dai 2 ai 12 mesi. In questo periodo non viene computata, però, l’eventuale sospensione per maternità, per infortunio o per chiusura aziendale. 

Le Linee Guida prevedono poi che debbano esistere sia un soggetto promotore sia un soggetto ospitante. Il primo soggetto promuove e attiva il tirocinio, monitorando la realizzazione degli obiettivi formativi.

L’altro soggetto, l’ospitante, ospita, appunto, il tirocinante: si tratta infatti del soggetto presso il quale si svolge il tirocinio, che deve essere in regola con le norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro e che, oltre a dover assicurare la realizzazione del tirocinio, deve garantire un’adeguata informazione e formazione in materia di salute e sicurezza. Sempre l’ospitante deve farsi carico della sorveglianza sanitaria e mettere a disposizione del tirocinante attrezzature ed equipaggiamenti. 

In ogni caso, promotore e ospitante sono tenuti a stupulare una convenzione di tirocinio, nel quale vengono specificati, tra le altre cose, gli obblighi di entrambi i soggetti e la durata complessiva del tirocinio.

Alla convenzione deve sempre essere allegato il piano formativo individuale, o PFI, che contiene l’indicazione degli obiettivi formativi da raggiungere nel corso del periodo di tirocinio.

Lo svolgimento dell’attività da parte del tirocinante è sorvegliato da due tutor, uno presente presso il promotore e uno presso l‘ospitante. Particolarmente importante è il ruolo del tutor presso il soggetto ospitante: Egli, infatti, deve affiancare il tirocinante sul luogo di lavoro e deve avere competenze adeguate a garantire il raggiungimento degli obiettivi previsti nel PFI.

Si tratta di un rapporto retribuito è retribuito?

Per chi svolge il tirocinio non è prevista alcuna retribuzione.

Tuttavia, nelle Linee Guida si prevede l’obbligo di corrispondere al tirocinante una indennità, tendenzialmente non inferiore ai 300 euro mensili. 

Quando non è possibile avviare un tirocinio? 

Il tirocinio ha natura formativa e, di conseguenza, non può essere utilizzato per far fronte a temporanee necessità aziendali. Dunque,ad esempio, non potrà essere utilizzato per sostituire altri lavoratori assenti per ferie, malattia o maternità.

Non è inoltre possibile avviare un periodo di tirocinio con un soggetto che abbia già lavorato per il soggetto ospitante nei due anni precedenti o che abbia già fatto altri tirocini presso lo stesso soggetto. Spesso, purtroppo, il tirocinio viene utilizzato in maniera scorretta,per mascherare un vero e proprio rapporto di lavoro.

Sei sicuro di essere parte di un rapporto di tirocinio regolare? Esserne sicuri è importante: contatta il nostro studio per saperne di più: tutela i tuoi diritti!