promessa di donazione

Promessa di donazione: per la legge è accettabile?

La parola “donazione” evoca alla nostra mente concetti come generosità, cura, o semplicemente regalo. Meno spesso, la associamo ad altre parole come “promessa”, e ancor meno sovente a “contratto”. Eppure, in sede legale, si è molto dibattuto su una questione che lega tutti questi concetti e parole in un unico scenario: è valida una promessa di donazione? 

Innanzitutto, partiamo dalle basi: che cos’è una donazione? 

Una donazione è un contratto mediante il quale una persona, per spirito di liberalità, ne arricchisce un’altra. Lo fa disponendo a suo favore un diritto, o assumendo verso di lei un’obbligazione.  La donazione, a rischio di essere considerata nulla, richiede che venga fatta per atto pubblico , a meno che non si tratti di donazioni di scarso valore per cui non viene richiesto alcun atto formale; il problema, però, sussiste nel caso in cui il donante si obblighi nei confronti del donatario a concludere un atto di donazione in un secondo momento. Un contratto preliminare di donazione, o in altri termini una promessa di donazione. 

È ammissibile una promessa di donazione? 

Vi sono due scuole di pensiero diverse.  

Una parte della dottrina ritiene che un contratto di donazione preliminare non sia ammissibile. Questo perché, fondamentalmente, sarebbe contrario allo spirito di liberalità della donazione, ossia la spontaneità che deve caratterizzare il gesto. La donazione, infatti, nasce dal fatto che un soggetto decida liberamente di arricchire un altro soggetto, ma liberamente, senza alcun vincolo contrattuale pregresso.  

Secondo il primo orientamento, quindi, proprio perché l’atto non è spontaneo ma regolato da un contratto che lo obbliga, la donazione è da considerarsi nulla, e anche la promessa di esso (il “contratto preliminare”) è da considerarsi nulla.  

La seconda scuola di pensiero, invece, ritiene valido il “contratto preliminare” di donazione.  

Secondo quest’interpretazione, infatti, la spontaneità della volontà è assente in tutti i contratti definitivi conclusi in esecuzione di contratti preliminari. La liberalità, quindi, è solo una condizione psicologica che muove il donante a concludere l’atto di donazione, e questo in qualsiasi momento. Quindi, la funzione economico-sociale della donazione risiederebbe nell’arricchimento di un altro soggetto.  

A parte le interpretazioni, esiste un precedente legale? 

Certo, e molto autorevole. Recentemente, la Suprema Corte di Cassazione, con sentenza 6080/2020, è tornata ad occuparsi della validità del contratto preliminare di donazione.  Nella sentenza si ribadisce un orientamento consolidato, anche se sempre dibattuto dai giuristi, secondo cui:

“La coazione all’adempimento, cui il promittente sarebbe soggetto, contrasta con il requisito della spontaneità della donazione, il quale deve sussistere al momento del contratto”.

In parole povere, quando il donatore è obbligato contrattualmente ad effettuare una donazione, viene meno il presupposto della spontaneità. 

Secondo la Cassazione, insomma, la cessione della proprietà di un bene non può legittimamente avvenire attraverso un preliminare di donazione, pena la sua insanabile nullità: la donazione, dunque, non ammette preliminare e non può essere, quindi “promessa”.  

A questo si aggiunga che, qualora la promessa di donazione fosse conclusa tra le parti, il donatario potrebbe stipulare preventivamente con un terzo un contratto di vendita delle cose che riceverà in futura donazione, suscitando problemi non da poco legati alla vendita di cose non ancora in suo possesso. 

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Articolo realizzato in collaborazione con l’avv.Alberto Padoan 

usucapione

Usucapione e successione: come si tutela la “Legittima”? 

Alle volte, all’apertura della successione di un parente, può capitare di non trovare più nel patrimonio ereditario alcuni dei beni appartenuti in vita al defunto. Come mai? Nel frattempo potrebbe essere che altri soggetti, magari altri parenti, se ne siano impossessati per usucapione, e per questo non fare più parte del patrimonio. 

Ma cos’è l’usucapione? 

L’usucapione, in latino usucapio, è un modo di acquisto della proprietà a titolo originario basato sul possesso di un bene protratto per un determinato periodo di tempo. In Italia è regolato dagli articoli 1158 e seguenti del codice civile

Si tratta di un istituto complesso che merita approfondimento. Il Codice Civile intende per usucapione il modo di acquisizione della proprietà a seguito del possesso pacifico, non violento e ininterrotto di un bene mobile o immobile per un periodo temporale di almeno vent’anni per i beni immobili o dieci anni per i beni mobili. Trascorso il periodo, il giudice adito accerta l’effettivo possesso del bene e decreta il passaggio della proprietà. 

Ci si deve, quindi, rassegnare e considerare perduti quei beni? 

La risposta è no, se si tratta di usucapione che, in qualche modo, lede la quota di eredità spettante al coniuge o ai figli. 

Sappiamo che chiunque può disporre in vita dei propri beni favorendo una persona, per spirito di liberalità, per gratitudine, attraverso l’istituto della donazione. 

Tuttavia, la legge tutela alcuni familiari del defunto, detti “legittimari”, riservando agli stessi una quota di eredità, anche contro un’eventuale donazione effettuata dal defunto quando era in vita. E’ la cosiddetta collazione. L’istituto obbliga i figli, i loro discendenti e il coniuge che concorrono alla successione a conferire tutto ciò che hanno ricevuto dal defunto per donazione. Sia che sia avvenuta direttamente o indirettamente. Questo a meno che non siano dispensati e, comunque, sempre rispettando la quota di legittima

Persino i terzi, che abbiano acquistato diritti al donatario, qualora l’eredità non sia sufficiente a soddisfare la quota dei legittimari, sono tenuti alla restituzione di quanto ricevuto. 

Donazioni: la legge ne distingue due tipi

La donazione può essere diretta e quindi seguire le forme previste dall’art. 782 c.c., con atto pubblico, oppure indiretta. Chiamiamo donazioni indirette tutti quegli atti di liberalità, ossia atti diversi dalla donazione in cui una parte arricchisce l’altra senza esservi tenuta, a cui si applicano le stesse norme valide per quest’ultima. 

Ad esempio, viene considerata donazione indiretta l’acquisto che il padre fa al proprio figlio di una casa pagandola con i propri soldi. In questo modo il figlio risulta proprietario, ma è il padre che ha pagato il prezzo, pur senza essere menzionato nell’atto di compravendita. 

Detto questo, anche l’usucapione da parte di un figlio o di un terzo di beni che erano del defunto e che leda la quota di legittima, può essere considerata una donazione indiretta. Questo purché il proprietario, mentre era in vita, non si sia opposto alla causa di usucapione o abbia prestato il suo consenso all’usucapione accettando le conseguenze della sentenza di usucapione. 

In conclusione, qualora l’usucapione leda la quota dei legittimari, un comportamento passivo del proprietario defunto può essere considerato come un atto in favore di un soggetto. Può quindi configurarsi l’ipotesi di donazione indiretta. Come conseguenza di questo, i beni usucapiti, o parte di essi, dovranno essere restituiti agli eredi fino a ripristinare totalmente la quota di legittima.  Questo una volta accertata dal Giudice l’effettiva esistenza di una donazione indiretta.

L’usucapione è solo un aspetto, ma il diritto delle successioni è una materia complessa.

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Articolo scritto in collaborazione con l’avvocato Alberto Padoan