dichiarazione di successione

La dichiarazione di successione: l’aspetto burocratico dell’eredità

Nei momenti più tristi della vita, occorre pur sempre raccogliere le forze e adempiere ad alcune incombenze necessarie. Specie nel caso della dipartita di una persona amata, però, lo stato richiede alcuni adempimenti che, a seconda dei casi, possono presentare un grado di complessità più o meno gravoso e complesso. È il caso, ad esempio, della dichiarazione di successione.

Quando una persona viene a mancare vi sono degli adempimenti da compiere al fine di regolarizzare fiscalmente il subentro degli eredi nel patrimonio del defunto. L’adempimento principale è, appunto, la dichiarazione di successione che, a decorrere da gennaio 2017, si può presentare all’Agenzia delle Entrate solo in via telematica.

Chi deve presentare la dichiarazione di successione

E’ facoltà di ciascun erede presentare la dichiarazione di successione; in caso di più eredi è sufficiente che uno solo presenti detta dichiarazione anche a nome di tutti gli altri eredi.

Entro quando va presentata la dichiarazione di successione.

La dichiarazione di successione deve essere presentata entro 12 mesi dalla data di apertura della successione, ossia dalla data di decesso del de cuius. Si può presentare anche oltre detto termine ma si è esposti al rischio dell’applicazione di sanzioni amministrative per il ritardo.

A cosa serve la dichiarazione di successione

Detto adempimento serve per consentire allo Stato di calcolare la tassazione da applicare alla successione sulla base dei beni lasciati dal defunto. Infatti, nella dichiarazione di successione vanno obbligatoriamente indicati l’attivo e il passivo ereditario. L’attivo è composto da beni immobili (edifici, terreni) lasciati dal defunto, conti correnti, obbligazioni. Ne fanno parte anche quote o azioni di società di capitali, per i beni mobili il valore è calcolato nella misura del 10% del valore complessivo netto, salvo inventario.

Tra le passività vanno indicate le spese funerarie, spese mediche sostenute nel semestre precedente il decesso, i debiti contratti dal defunto risultanti da atto in forma scritta con data certa. Nella dichiarazione di successione vanno altresì indicati eventuali soggetti che abbiano rinunciato all’eredità o eventuali soggetti interdetti/incapaci.

Quali sono le imposte da pagare?

L’imposta di successione per il coniuge e i parenti in linea retta è soggetta alla franchigia di euro 1 milione per ciascun beneficiario (euro 1,5 milione in caso di erede con grave handicap). Sull’eccedenza si applica il 4%; per i fratelli e sorelle la franchigia è di euro 100.000,00 ciascuno, sull’eccedenza viene applicata l’imposta del 6%; parenti sino al quarto grado 6% senza franchigia; altri parenti/soggetti l’imposta applicata è dell’8% senza franchigia. Oltre a detta imposta si dovranno versare le imposte ipotecarie e catastali relative agli immobili.

Anche per queste faccende farsi aiutare è la cosa migliore

Quello in cui si subentra a un parente come eredi è sempre un momento difficile, carico di emotività e delicato. Per questo farsi assiste da un avvocato specialista in diritto di successione non è solo la cosa migliore da fare dal punto di vista legale. È anche un sollievo e un alleggerimento personale. Rivolgiti al nostro studio se hai necessità di assistenza: tutela i tuoi diritti!

Articolo scritto in collaborazione con l’avvocato Alberto Padoan

successione all'estero

Successione all’estero: il complesso caso dello “Zio d’America”

Ogni storia famigliare ha almeno un aneddoto che riguarda un’eredità trasmessa da un parente che abitava all’estero. Il cosiddetto “Zio d’America”, per citare un’espressione popolare. Però, lungi dall’essere frivoli e leggeri, quello della successione all’estero è un caso veramente complesso, che merita un approfondimento.  

Andiamo oltre il mito e le leggende famigliari, entriamo nel caso specifico che la legge contempla. Può accadere, infatti, di essere chiamati all’eredità di un parente che in vita risiedeva all’estero, magari per lavoro. 

In questi casi si deve verificare se il paese nel quale è deceduto il soggetto sia o meno aderente all’Unione Europea. Può accadere, infatti, che un cittadino italiano lasci in eredità dei beni che sono situati in Francia oppure in Svizzera.

Quale norma si applica in caso di successione all’estero?

Gli Stati hanno nel corso degli anni regolati i rapporti successori con convenzioni o trattati, in assenza di tali accordi il nostro ordinamento applica la Legge n. 218/1995. Secondo questa legge, la successione è regolata dalla legge nazionale del soggetto della cui eredità si tratta al momento della morte. Pertanto se si tratta di una successione italiana di un cittadino residente in Venezuela, la successione sarà regolata, secondo il nostro ordinamento, dalla Legge italiana.

La successione all’estero all’interno dell’Unione Europea

Negli Stati membri dell’Unione Europea si applica invece il Regolamento UE n. 650/2012, per le successioni apertesi dopo il 17 agosto 2015. Questo regolamento non si applica alle successioni coinvolgenti gli stati di Irlanda, Regno Unito e Danimarca, perché non firmatari. Le norme del regolamento prevalgono sulle disposizioni dei singoli stati nazionali e prevedono che la legge applicabile sia quella del Paese dove il defunto aveva la residenza abituale al momento della morte. 

Resta la facoltà in capo ai soggetti di dichiarare quale legge applicare al momento della loro successione, se quella del proprio paese di origine oppure quella del diverso paese ove hanno la residenza. Qualora sorgano liti in merito all’eredità, è competente a decidere il giudice del Paese UE in cui il defunto aveva la residenza abituale al momento della morte.

Cos’è il certificato successorio europeo?

Il citato regolamento ha introdotto il cosiddetto certificato successorio europeo. Si tratta di un documento rilasciato dall’autorità dello stato ove si è aperta la successione. Consente agli eredi, legatari, esecutori testamentari o amministratori dei beni del defunto di far valere la loro qualità o esercitare i loro diritti/poteri negli altri Stati membri ove si trovano i beni del defunto.

Se il defunto risiedeva in Svizzera?

Un caso particolare è la successione apertasi in Svizzera, paese notoriamente non aderente all’Unione Europea. In questo caso sovviene in aiuto un Trattato bilaterale siglato tra l’Italia e la Svizzera risalente al 1868 ed ancora in vigore tra i due paesi. 

Secondo l’accordo, al cittadino italiano deceduto in Svizzera si applica la legge italiana e al cittadino elvetico deceduto in Italia si applica la legge svizzera. In caso di controversie sulla successione si segue la medesima regola per il giudice competente a conoscere la causa. Resta intesa anche qui la facoltà di derogare a tale principio esprimendo il diritto di scelta sul diritto applicabile.

La successione all’estero è una fattispecie delicatissima

Per questo la cosa migliore da fare, come in ogni caso che configuri la necessità di avere a che fare con il diritto di successione, è rivolgersi a un legale. Il nostro studio è specializzato in questo, come in molte altre branche: contatta il nostro studio se ne hai bisogno, tutela i tuoi diritti!

Articolo scritto in collaborazione con l’avvocato Alberto Padoan

Minore eredita

Cosa succede se un minore eredita dei beni

Siamo abituati a pensare a un’eredità come a qualcosa che riguarda il mondo degli adulti, e che, semmai, viene trasmessa quando l’erede è in un momento della vita in cui gode di tutti i diritti, le possibilità e la capacità decisionale che contraddistingue la vita di un cittadino adulto. Ma cosa succede, invece, se un minore eredita dei beni?

Se un minore eredita: come funziona la legge?

Può accadere che un minore si trovi ad essere chiamato all’eredità in conseguenza del decesso di un parente. Ad esempio un nonno oppure, malauguratamente, di uno dei genitori scomparso prematuramente. Cosa deve fare per accettare l’eredità?

Innanzitutto, secondo la legge, un minore non può autonomamente accettare o rinunciare ad un’eredità come invece può fare un soggetto maggiorenne. Questo perché, secondo la legge, non ha ancora la capacità di agire che si acquista con la maggiore età.

Per compiere determinati atti, è necessario l’intervento di uno o di entrambi i genitori e l’autorizzazione del Giudice Tutelare.

Quando un minore eredita: il testo della legge

L’articolo 320, comma 3, del Codice Civile. elenca una serie di atti che i genitori possono compiere solamente previa acquisizione dell’autorizzazione del Giudice Tutelare, tra cui accettare o rinunciare ad un’eredità.

Presentata un’apposita istanza, quindi, il Giudice Tutelare valuterà se è interesse o meno del minore accettare l’eredità a cui è chiamato. Questo sia che si tratti di una successione testamentaria o di una successione legittima.

A quel punto, il minore è considerato erede?

No, o meglio non ancora! Diversamente da altri casi di successione, esiste ancora un passaggio che la legge richiede perché il minore in questione sia, a tutti gli effetti, un erede. L’ulteriore adempimento fondamentale consiste nella redazione di un inventario dei beni ereditari. Se ne deve incaricare un pubblico ufficiale e l’accettazione, con beneficio di inventario, dev’essere fatta anch’essa per atto di un pubblico ufficiale. È questa l’unica forma con la quale un soggetto minore può accettare un’eredità.

Nel diritto di successione non c’è nulla di semplice o scontato

In questi casi la delicatezza, la comprensione e soprattutto la conoscenza della legge sono ben più che dettagli. Possono evitare incomprensioni, litigi e perdite di risorse, denaro e beni a cui si avrebbe invece diritto. Per questo affidarsi a un legale è fondamentale: rivolgiti al nostro studio se hai bisogno di assistenza. Tutela i tuoi diritti!

Articolo scritto in collaborazione con l’avvocato Alberto Padoan

donazione di beni futuri

Donazione di beni futuri

La vita, si sa, non si vive solo nel presente, e nemmeno solo nel passato! Una delle molte cose che rendono speciali gli esseri umani è la capacità di progettare il futuro, e di mettere in campo oggi azioni per ottenere un risultato preciso in un lasso di tempo definito. Ma dunque, se la capacità progettuale è così importante nel definire l’animo umano, non dovremmo forse considerarla una risorsa, un bene prezioso? Ed essendo tale, non si dovrebbe poter effettuare una donazione di beni futuri

Nello specifico, si può donare un bene ancora non esistente? Una casa che progettiamo di costruire oppure un bene che riceverò e che voglio già destinare ad una determinata persona? 

Il primo comma dell’art. 771 c.c. stabilisce che oggetto della donazione sono beni presenti del donante. La donazione di beni futuri è nulla se riferita a questi, salvo che si tratti di beni non ancora separati.  

Cominciamo, però dal principio per fare un po’ di chiarezza. Cerchiamo, per prima cosa, di definire il concetto di bene futuro. Un bene futuro si definisce tale in tre casi:  

  1. Se intende una cosa che ancora non esiste;  
  2. Se intende una cosa che esiste in natura ma non ha ancora una propria autonoma esistenza (esempio i frutti nati ma non ancora separati: solo in questo caso la donazione è valida); 
  3. Se intende una cosa di cui non si ha attualmente la proprietà e si attende di averla. 

Ad esempio: è valida la donazione dei frutti che verranno a maturazione, dei minerali che verranno estratti o i profitti futuri di un’azienda, ciò perché su tali cose esiste già un diritto in capo al donante.  

Diversamente, se il donante vuole disporre di un bene su cui non può vantare alcun diritto, come un bene che riceverà in donazione o forse in successione o dovrà acquistarlo, detta donazione è considerata nulla. 

Esistono eccezioni per la donazione di beni futuri?

Eccezione a detta regola è dettata dal secondo comma dell’art. 771 c.c.: se oggetto della donazione è una universalità di cose, ad esempio un’azienda o una piantagione, e queste siano nella disponibilità del donante, la donazione è valida. Essa ricomprende anche le cose che vi si aggiungeranno, come i profitti dell’azienda o i frutti della piantagione. 

Quindi appare chiara la regola secondo cui non possono formare oggetto di donazione beni o diritti che non sono nella disponibilità del donante, e tanto meno possono essere oggetto di donazione le cose altrui. 

Ma le eventualità in una successione sono complesse, e prevedono molti casi differenti! Cosa succede, ad esempio, se un co-erede volesse donare la quota del bene ricevuto in eredità?  

La Suprema Corte di Cassazione, Sezioni Unite, ha chiarito come anche in questo caso si sia di fronte al divieto di donazione di cosa altrui o parzialmente altrui che, sebbene non vietata, è nulla per difetto di causa. In questo modo, la donazione del co-erede avente ad oggetto la quota di un bene indiviso compreso nella massa ereditaria è nulla. Questo in considerazione del fatto che, prima della divisione, quello specifico bene non fa parte del patrimonio del co-erede donante. 

Non esistono dunque presupposti necessari per una donazione di beni futuri?

Non esattamente: sempre secondo le Sezioni Unite, una simile donazione può essere ritenuta valida, ma solamente quando sussistano due presupposti: 

  • Il donante e il donatario devono essere consapevoli del fatto che il bene non è ancora di proprietà del donante.L’atto, quindi, si perfezionerà nel momento in cui detto bene entrerà nella disponibilità del donante;  
  • Il donante si deve assumere l’obbligo di  trasferire al donatario il bene nel momento in cui ne diverrà proprietario e, quindi, dopo la divisione ereditaria. In tale quadro, la donazione di cosa altrui diviene. donazione obbligatoria di dare, il cui oggetto è quindi l’obbligazione di procurare l’acquisto del bene dal terzo (gli effetti traslativi sono differiti e sospensivamente condizionati all’esito della divisione ereditaria). 

Diversamente, è valida la donazione della quota spettante sull’intero asse ereditario, quindi non su un singolo bene, salvi i diritti di prelazione ereditaria. In questo caso, il soggetto donatario si sostituisce al donatario in tutta la quota indivisa sull’intera massa ereditaria e, pertanto, entrerà al posto di questi nella comunione ereditaria.

Questo tipo di donazione non è certo l’unico aspetto atipico che la legge prende in considerazione! 

Il diritto di successione è una materia davvero complicata e il supporto di un professionista è davvero utile, se non indispensabile! Contatta il nostro studio per avere assistenza: tutela i tuoi diritti!

Articolo scritto in collaborazione con l’avvocato Alberto Padoan 

successioni legittime

La devoluzione nelle successioni legittime

Quando una persona muore i suoi beni vengono trasferiti ai suoi eredi (coniuge, figli, fratelli, sorelle, ascendenti,…) secondo le regole stabilite dal codice civile, in tal modo si avrà successione testamentaria, in presenza di un testamento, oppure successione legittima, quando il defunto non ha lasciato alcuno scritto di ultime volontà.

Nelle successioni legittime, i chiamati all’eredità (soggetti che hanno diritto a ricevere l’eredità ma che ancora non l’hanno accettata) possono accettare o rinunciare ai beni lasciati dal defunto.

Cosa succede se alla morte di un soggetto sopravvivono il coniuge e due figli e uno dei figli (senza discendenti) vuole rinunciare all’eredità? La quota del figlio rinunciante va persa o va suddivisa?

L’articolo 521 del Codice Civile stabilisce che chi rinuncia all’eredità è considerato come se non vi fosse mai stato chiamato, inoltre, secondo quanto previsto dall’articolo 522 del Codice Civile, nelle successioni legittime la parte di colui che rinuncia si accresce a coloro che avrebbero concorso con il rinunciante; quindi la parte dell’erede che rinuncia non va perduta.

In che modo viene suddivisa la quota del figlio rinunciante?

Secondo un orientamento la quota del rinunciante andrebbe suddivisa tra il coniuge e il figlio in parti uguali, secondo un altro orientamento la quota del rinunciante andrebbe per intero all’altro figlio.

Il codice civile non propone una soluzione al caso in esame, limitandosi a stabilire che nella successione legittima la rinuncia implica l’accrescimento in favore di coloro che concorrono con il rinunciante, senza tuttavia specificare chi sono coloro che effettivamente concorrono: sono i coeredi generalmente intesi (coniuge e figli) o coloro che concorrono con la stessa quota in quanto appartenenti alla stessa categoria (figli)?

Una lettura sistematica dell’articolo 522 del codice civile, porta ad affermare che la rinuncia di uno dei chiamati importi l’incremento delle quote di coloro che avrebbero concorso con il rinunciante e che tale incremento vada commisurato sulla base di una delle ipotesi di concorso dettate nell’ambito della successione legittima, considerando il rinunciante come se non fosse stato mai chiamato.

Pertanto, nell’ipotesi in cui si apra la successione in favore del coniuge e due figli, a seguito della rinuncia di un figlio all’eredità, il ricalcolo delle quote si opera considerando sia il coniuge che l’altro figlio, quindi la quota del figlio rinunciante (senza discendenti) andrà suddivisa tra questi ultimi in parti uguali.

Il diritto di successione è complesso, e la devoluzione nelle successioni legittime ce ne da un’idea

Per questo è sempre meglio affidarsi a un legale specializzato per questioni di successione. Se hai bisogno di assistenza in questo senso contatta il nostro studio: tutela i tuoi diritti!

Articolo scritto in collaborazione con l’avvocato Alberto Padoan

promessa di donazione

Promessa di donazione: per la legge è accettabile?

La parola “donazione” evoca alla nostra mente concetti come generosità, cura, o semplicemente regalo. Meno spesso, la associamo ad altre parole come “promessa”, e ancor meno sovente a “contratto”. Eppure, in sede legale, si è molto dibattuto su una questione che lega tutti questi concetti e parole in un unico scenario: è valida una promessa di donazione? 

Innanzitutto, partiamo dalle basi: che cos’è una donazione? 

Una donazione è un contratto mediante il quale una persona, per spirito di liberalità, ne arricchisce un’altra. Lo fa disponendo a suo favore un diritto, o assumendo verso di lei un’obbligazione.  La donazione, a rischio di essere considerata nulla, richiede che venga fatta per atto pubblico , a meno che non si tratti di donazioni di scarso valore per cui non viene richiesto alcun atto formale; il problema, però, sussiste nel caso in cui il donante si obblighi nei confronti del donatario a concludere un atto di donazione in un secondo momento. Un contratto preliminare di donazione, o in altri termini una promessa di donazione. 

È ammissibile una promessa di donazione? 

Vi sono due scuole di pensiero diverse.  

Una parte della dottrina ritiene che un contratto di donazione preliminare non sia ammissibile. Questo perché, fondamentalmente, sarebbe contrario allo spirito di liberalità della donazione, ossia la spontaneità che deve caratterizzare il gesto. La donazione, infatti, nasce dal fatto che un soggetto decida liberamente di arricchire un altro soggetto, ma liberamente, senza alcun vincolo contrattuale pregresso.  

Secondo il primo orientamento, quindi, proprio perché l’atto non è spontaneo ma regolato da un contratto che lo obbliga, la donazione è da considerarsi nulla, e anche la promessa di esso (il “contratto preliminare”) è da considerarsi nulla.  

La seconda scuola di pensiero, invece, ritiene valido il “contratto preliminare” di donazione.  

Secondo quest’interpretazione, infatti, la spontaneità della volontà è assente in tutti i contratti definitivi conclusi in esecuzione di contratti preliminari. La liberalità, quindi, è solo una condizione psicologica che muove il donante a concludere l’atto di donazione, e questo in qualsiasi momento. Quindi, la funzione economico-sociale della donazione risiederebbe nell’arricchimento di un altro soggetto.  

A parte le interpretazioni, esiste un precedente legale? 

Certo, e molto autorevole. Recentemente, la Suprema Corte di Cassazione, con sentenza 6080/2020, è tornata ad occuparsi della validità del contratto preliminare di donazione.  Nella sentenza si ribadisce un orientamento consolidato, anche se sempre dibattuto dai giuristi, secondo cui:

“La coazione all’adempimento, cui il promittente sarebbe soggetto, contrasta con il requisito della spontaneità della donazione, il quale deve sussistere al momento del contratto”.

In parole povere, quando il donatore è obbligato contrattualmente ad effettuare una donazione, viene meno il presupposto della spontaneità. 

Secondo la Cassazione, insomma, la cessione della proprietà di un bene non può legittimamente avvenire attraverso un preliminare di donazione, pena la sua insanabile nullità: la donazione, dunque, non ammette preliminare e non può essere, quindi “promessa”.  

A questo si aggiunga che, qualora la promessa di donazione fosse conclusa tra le parti, il donatario potrebbe stipulare preventivamente con un terzo un contratto di vendita delle cose che riceverà in futura donazione, suscitando problemi non da poco legati alla vendita di cose non ancora in suo possesso. 

Una promessa di donazione è qualcosa di controverso, fatti assistere!

In questioni complesse, è sempre meglio affidarsi a un professionista: contatta il nostro studio, tutela i tuoi diritti!  

Articolo realizzato in collaborazione con l’avv.Alberto Padoan 

usucapione

Usucapione e successione: come si tutela la “Legittima”? 

Alle volte, all’apertura della successione di un parente, può capitare di non trovare più nel patrimonio ereditario alcuni dei beni appartenuti in vita al defunto. Come mai? Nel frattempo potrebbe essere che altri soggetti, magari altri parenti, se ne siano impossessati per usucapione, e per questo non fare più parte del patrimonio. 

Ma cos’è l’usucapione? 

L’usucapione, in latino usucapio, è un modo di acquisto della proprietà a titolo originario basato sul possesso di un bene protratto per un determinato periodo di tempo. In Italia è regolato dagli articoli 1158 e seguenti del codice civile

Si tratta di un istituto complesso che merita approfondimento. Il Codice Civile intende per usucapione il modo di acquisizione della proprietà a seguito del possesso pacifico, non violento e ininterrotto di un bene mobile o immobile per un periodo temporale di almeno vent’anni per i beni immobili o dieci anni per i beni mobili. Trascorso il periodo, il giudice adito accerta l’effettivo possesso del bene e decreta il passaggio della proprietà. 

Ci si deve, quindi, rassegnare e considerare perduti quei beni? 

La risposta è no, se si tratta di usucapione che, in qualche modo, lede la quota di eredità spettante al coniuge o ai figli. 

Sappiamo che chiunque può disporre in vita dei propri beni favorendo una persona, per spirito di liberalità, per gratitudine, attraverso l’istituto della donazione. 

Tuttavia, la legge tutela alcuni familiari del defunto, detti “legittimari”, riservando agli stessi una quota di eredità, anche contro un’eventuale donazione effettuata dal defunto quando era in vita. E’ la cosiddetta collazione. L’istituto obbliga i figli, i loro discendenti e il coniuge che concorrono alla successione a conferire tutto ciò che hanno ricevuto dal defunto per donazione. Sia che sia avvenuta direttamente o indirettamente. Questo a meno che non siano dispensati e, comunque, sempre rispettando la quota di legittima

Persino i terzi, che abbiano acquistato diritti al donatario, qualora l’eredità non sia sufficiente a soddisfare la quota dei legittimari, sono tenuti alla restituzione di quanto ricevuto. 

Donazioni: la legge ne distingue due tipi

La donazione può essere diretta e quindi seguire le forme previste dall’art. 782 c.c., con atto pubblico, oppure indiretta. Chiamiamo donazioni indirette tutti quegli atti di liberalità, ossia atti diversi dalla donazione in cui una parte arricchisce l’altra senza esservi tenuta, a cui si applicano le stesse norme valide per quest’ultima. 

Ad esempio, viene considerata donazione indiretta l’acquisto che il padre fa al proprio figlio di una casa pagandola con i propri soldi. In questo modo il figlio risulta proprietario, ma è il padre che ha pagato il prezzo, pur senza essere menzionato nell’atto di compravendita. 

Detto questo, anche l’usucapione da parte di un figlio o di un terzo di beni che erano del defunto e che leda la quota di legittima, può essere considerata una donazione indiretta. Questo purché il proprietario, mentre era in vita, non si sia opposto alla causa di usucapione o abbia prestato il suo consenso all’usucapione accettando le conseguenze della sentenza di usucapione. 

In conclusione, qualora l’usucapione leda la quota dei legittimari, un comportamento passivo del proprietario defunto può essere considerato come un atto in favore di un soggetto. Può quindi configurarsi l’ipotesi di donazione indiretta. Come conseguenza di questo, i beni usucapiti, o parte di essi, dovranno essere restituiti agli eredi fino a ripristinare totalmente la quota di legittima.  Questo una volta accertata dal Giudice l’effettiva esistenza di una donazione indiretta.

L’usucapione è solo un aspetto, ma il diritto delle successioni è una materia complessa.

se questo articolo ti è stato utile, scopri come funziona la successione per i parenti più stretti.  Se hai bisogno di assistenza, contatta il nostro studio: la prima consulenza è senza impegno! 

Articolo scritto in collaborazione con l’avvocato Alberto Padoan

fuori dal testamento

I beni dimenticati: ecco cosa succede ai beni lasciati fuori dal testamento

Può sembrare controintuitivo, ma anche se attribuiamo il valore che meritano ai beni che possediamo, sia dal punto di vista affettivo che materiale, non è facile contemplarli tutti in un momento. Se fossimo chiamati ad elencare tutto ciò che possediamo in un singolo testo, saremmo in grado di elencarli tutti senza dimenticarci di nulla? Per questo capita, alle volte, che al momento della sua redazione qualche bene venga lasciato fuori dal testamento!

Succede con relativa frequenza, e proprio perché è un caso che ricorre, la legge prevede specifiche soluzioni per far fronte a dimenticanze od omissioni. In questo articolo vedremo sommariamente cosa prevedono la legge e la giurisprudenza.

Come si comporta la legge con quei beni che vengono lasciati fuori dal testamento

Cosa succede se una persona redige il testamento e su questo non indica tutti i suoi beni o perché dimentica di attribuirne alcuni o perché ne entra in possesso dopo aver scritto il testamento?

Innanzitutto, la legge stabilisce che le disposizioni testamentarie attribuiscono la qualità di erede sia se comprendono l’universalità dei beni sia se comprendono una quota di detti beni. Quindi si definisce erede sia colui a cui viene trasmessa la totalità dei beni del defunto, sia colui che è destinatario di una quota. Le altre disposizioni testamentarie sono a titolo particolare e attribuiscono la qualità di legatario: al legatario si destinano beni particolari e non quote di eredità.

Si stabilisce poi che l’indicazione di beni determinati non esclude che la disposizione sia a titolo universale. Questo quando risulta che il testatore ha inteso assegnare quei beni come quota del patrimonio. In altre parole, si può considerare come universale, quindi una parte o la totalità dell’eredità, anche se i beni vengono specificati nel testamento. Ovviamente a patto che il testatore intendesse quella assegnazione specifica come quota dell’eredità. Se, ad esempio, un testatore possiede due case di pari valore e due figli, quindi, potrà decidere quale casa andrà all’uno e quale all’altro, nella consapevolezza che i figli dovranno avere quote uguali di eredità.

Come ci si deve comportare, quindi, qualora alcuni beni siano stati stati lasciati fuori dal testamento?

Recentemente la Suprema Corte di Cassazione si è pronunciata proprio sul caso prospettato. La Cassazione ricorda che la regola generale prevede che per le cose non assegnate con il testamento si debba far riferimento alla successione legittima. Ossia vi sarà concorso tra successione testamentaria, quel che viene lasciato esplicitamente nel testamento, e successione legittima, ossia la quota spettante ai rispettivi eredi legittimi.

Quindi non c’è differenza fra lasciare fuori dal testamento beni per dimenticanza o consapevolmente?

No, anzi! La Cassazione coglie l’occasione per distinguere il caso in cui il testatore non abbia disposto di alcuni beni volutamente e il caso in cui non abbia disposto per dimenticanza o perché tali beni gli sono pervenuti dopo aver redatto il testamento.

Nel primo caso, se i beni non sono stati volutamente attribuiti esplicitamente a qualcuno, questi rientreranno nella quota attribuita agli eredi legittimi. Nel secondo caso, quello dei beni dimenticati o sopravvenuti, i beni non inclusi nel testamento andranno divisi tra l’erede testamentario e gli eredi legittimi. Questo proporzionalmente alle rispettive quote.

La Corte si spinge nel sostenere qualcosa di particolare nel caso vi sia un unico soggetto nominato nel testamento. Chiaramente, questo in riferimento al caso in cui il defunto abbia dimenticato di attribuire alcuni beni o questi gli siano pervenuti successivamente alla redazione delle sue volontà. Eseguendo un calcolo preventivo della quota di cui può disporre tramite testamento, si presume che detti beni vadano attribuiti all’erede testamentario.

Resta tuttavia ferma la formula piena di istituzione di erede universale, ossia non ha luogo la successione legittima se con la disposizione testamentaria si sono attribuiti tutti i beni (art. 457, co. 2, c.c.); salva la riserva di legge ai legittimari (art. 457, co. 3, c.c.).

Il Diritto di Successione è una materia complessa in cui tutti però, purtroppo, incappiamo.

Se hai bisogno di assistenza per una successione non esitare a contattare il nostro studio: la prima consulenza è senza impegno.

Articolo scritto in collaborazione con l’avvocato Alberto Padoan

successione per fratelli e sorelle

Successioni: come funziona per fratelli e sorelle?

Alle volte, ci troviamo a vivere momenti orribili, in cui nessuno di noi vorrebbe trovarsi. Ma la vita è preziosa proprio perché sfugge, così, di tanto in tanto, ci troviamo a dover dire addio a una persona cara che ci lascia. In quei momenti così difficili, al dolore e alla confusione per la perdita fa da controaltare la calma e il buonsenso che siamo chiamati a profondere nelle faccende amministrative, e non solo nell’organizzazione del commiato ma nell’amministrazione dei beni che la persona a noi cara sta lasciando in questo mondo: è il caso, oltre che per ogni parente, della successione per fratelli e sorelle.

La legge prova a tenderci una mano con un corpus di diritto di successione che copre ogni possibile situazione, e che, proprio per questa ragione, è davvero complesso e rischia di essere frainteso.

Prendiamo in considerazione, ad esempio, una casistica abbastanza diffusa e difficile da dirimere: il caso in cui una persona passi a miglior vita non avendo eredi diretti, ma solo fratelli o sorelle.

Il caso è complesso: cerchiamo di rispondere ad alcune domande che potremmo porci.

Secondo la legge, chi ha diritto all’eredità?

Il Codice Civile, come sappiamo, dispone che l’eredità vada alla linea retta di discendenza o di ascendenza. In parole povere, i primi ad aver diritto all’eredità sono il coniuge e i discendenti in linea retta (figli e nipoti), a cui seguono i genitori. Se il coniuge non è più in vita o rinuncia all’eredità, ad ereditare saranno i figli, e se anche i figli non ci fossero subentreranno i genitori.

L’ultimo caso chiaramente, e auspicabilmente, è poco frequente, ma rende bene l’idea di quanto l’asse ereditario prediliga la linea di parentela diretta: [coniuge], figli, nipoti o genitori.

Ma come funziona la successione per fratelli e sorelle?

La successione per fratelli e sorelle è già la linea colletarale, e subentra nell’asse ereditario quando la linea diretta manca.

Nel caso di assenza di coniuge, figli e genitori, erediteranno fratelli e sorelle. In assenza di questi ultimi, i nipoti del defunto, ossia i figli dei fratelli e sorelle, e, in assenza anche di questi, i cugini.

Come funziona la successione per fratelli e sorelle se c’è un testamento?

Un testamento è un atto attraverso il quale una persona destina in eredità parte dei suoi beni secondo la propria volontà. Ma di quanta parte del proprio patrimonio si può disporre?

Il coniuge e gli eredi in linea diretta, figli e genitori, sono assegnatari per legge di una quota di patrimonio: sono detti per questo “Legittimari”. Questa quota varia, a seconda della situazione famigliare specifica della persona che redige il testamento.

Nel caso in cui si abbia un figlio ma nessun coniuge, al figlio spetterà per legge metà del patrimonio. Se i figli sono due spetterà loro i due terzi del patrimonio. Al coniuge, in assenza di figli, andrà metà del patrimonio; se c’è il coniuge o un figlio un terzo all’uno e un terzo all’altro e così via. Insomma, le quote di patrimonio di cui si può disporre nella redazione del testamento variano a seconda della composizione della famiglia, ossia degli eredi in linea retta.

Ma se non ci sono né coniuge né figli e nemmeno genitori?

In quel caso, la persona che redige il proprio testamento può disporre del suo intero patrimonio: non esiste una quota da affidare per legge ai parenti in linea collaterale (fratelli, nipoti o cugini)

Se non si redige un testamento e chi muore non lascia né moglie, né figli, né ascendenti, il suo patrimonio andrà suddiviso tra i suoi fratelli e sorelle o, in assenza, tra i suoi nipoti (figli di fratelli o sorelle) o, in assenza, tra i suoi cugini

Ritrovi il tuo caso in quello descritto nell’articolo o hai altre domande in merito a una successione? 

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Articolo scritto in collaborazione con l’avvocato Alberto Padoan