Si sente dire spesso che la legge è inflessibile, che un reato è un reato e che l’azione penale è automatica. Eppure neppure quello della legge è un mondo di assoluti, e persino un procedimento penale può iniziare o meno, anche se sussiste il fatto reato, se vi sono particolari condizioni. Oggi si esamina il caso in cui il fatto, penalmente rilevante, è comunque di particolare tenuità
Cos’è un fatto tenue, e come lo si identifica
Il concetto è stato recentemente introdotto nel nostro codice penale. Nell’articolo in questione si prevede che, in determinate condizioni, un fatto, previsto dalla legge quale reato, comporti la non punibilità di chi lo commette per particolare tenuità. In parole povere, chi si rende responsabile di un reato può non essere punito in virtù della particolare tenuità del fatto.
La volontà deflattiva della norma, ossia la sua vocazione ad alleggerire il sistema giudiziario, è del tutto evidente. Lo scopo della norma infatti, è di giungere a una rapida soluzione, mediante un decreto di archiviazione o con una sentenza di assoluzione, di procedimenti iniziati nei confronti di soggetti che abbiano sì commesso un reato, ma da ritenere non punibili perché complessivamente lo si considera come un fatto tenue. La giustizia avrà così più risorse per affrontare processi più complessi, fermo restando la possibilità per la persona offesa di agire in sede civile per il risarcimento del danno.
E’ questa la portata innovativa della norma, che, in qualche modo, trova dei precedenti nel nostro ordinamento, dall’improcedibilità dell’azione penale qualora il fatto sia di particolare tenuità, fino all’irrilevanza del fatto quale causa di non luogo a procedere per il processo penale minorile. Ovviamente in quest’ultimo caso l’interesse è quello di tutelare il minore, mentre nel primo la volontà del legislatore è sempre quella deflattiva.
L’istituto del fatto tenue, in ogni caso, è di particolare interesse per chi viene coinvolto in fatti di penale rilevanza. Certo, questo a patto che si tratti di episodi del tutto lievi messi in essere senza un’effettiva volontà delinquenziale e comunque con modalità tali da non destare un grave allarme sociale.
Il vero problema è quello di comprendere quando possiamo considerare un fatto tenue.
Il legislatore ha posto un limite oggettivo per stabilire la tenuità del fatto. La normativa di cui abbiamo parlato, infatti, può applicarsi solo a fatti che prevedono una pena massima pari a cinque anni.
Al limite oggettivo poi si affianca un limite soggettivo: il fatto va considerato tenue tenendo conto delle modalità della condotta e dell’esiguità del danno o del pericolo che il reato ha cagionato. Per stabilire le modalità della condotta bisognerà basarsi sulla previsione di legge (HL art. 133 c.p.) e quindi, in definitiva, si considera un fatto tenue quando, “rispetto all’interesse tutelato, l’esiguità del danno o del pericolo che ne è derivato, nonché la sua occasionalità e il grado di colpevolezza non giustificano l’esercizio dell’azione penale” ( Cass. Pen. Fasc. 11, 2004, p. 3882).
Dalla modalità della condotta è possibile senza ombra di dubbio valutare l’intensità del dolo o della colpa.
La valutazione dell’esiguità del danno va fatta in concreto, nessuna precostituita preclusione categoriale è consentita. Questo perché, dovendosi compiere una valutazione sulla effettiva manifestazione del reato, sulle sue effettive conseguenze, non sono ammesse presunzioni.
“Non esiste un’offesa tenue o grave in chiave archetipa. E’ la concreta manifestazione del reato che ne segna il disvalore”.
Cass., sez. un., 25 febbraio (dep. 6 aprile) 2016, n. 13681, Tushaj
Il secondo e il terzo comma dell’art. 131 bis stabiliscono degli ulteriori limiti oggettivi che comportano la disapplicazione della norma. Affermano infatti che un fatto non può considerarsi di particolare tenuità se il reato è stato commesso per motivi abietti o futili, con crudeltà, anche verso animali. Ancora, adoperando sevizie, approfittando delle condizioni di minore capacità di difesa della vittima, o l’aver cagionato, anche come conseguenze non volute, la morte o lesioni gravissime ad una persona. Si tratta di una serie di limiti oggettivi che impediscono l’applicazione della norma e non lasciano spazio ad interpretazioni di sorta.
Il terzo comma, infine, prevede non sia possibile considerare tenue un danno quando il comportamento del reo possa considerarsi abituale. Si è in presenza di una norma tassativa di tipizzazione dell’abitualità. Ma mentre alcune indicazioni della norma sono chiare, atteso il riferimento ad istituti codicistici -delinquente abituale- appaiono più oscuri gli altri riferimenti.
La legge fa riferimento a più reati della stessa indole, ovvero che presentano caratteristiche comuni. Perché si possa parlare di reati della stessa indole, però, si deve essere almeno in presenza di illeciti così considerati sul piano giuridico. Parliamo quindi di comportamenti considerati reati perché hanno dato luogo a condanne o perché si trovano al cospetto del giudice. Infatti quei comportamenti che non hanno avuto rilievo giuridico non potranno mai dar luogo al concetto di abitualità, perché non sono mai stati portati al cospetto del giudice o addirittura delle Forze dell’Ordine.
Il comportamento va considerato abituale anche quando abbia ad oggetto condotte plurime, abituali o reiterate.
In questo ultimo caso siamo innanzi ad un solo fatto che abbia tuttavia ad oggetto più condotte, anche unite dal vincolo della continuazione. Si pensi per esempio a determinati reati, come i maltrattamenti in famiglia, che prevedono più condotte.
Ogni condotta, singolarmente considerata, potrebbe dirsi tenue, ma non lo è più quando il fatto è reiterato.
La concezione di fatto tenue ha sicuramente una portata innovativa, ma non rappresenta la volontà dell’ordinamento di rinunciare a perseguire chi compie un reato. Lo scopo, invece, è di evitare che fatti che non destano particolare allarme sociale e che possono trovare un’adeguata definizione in sede civile, vadano ad intasare la giustizia penale. Questo contribuisce a liberare risorse affinché il sistema giudiziario possa perseguire, invece, quelle condotte che effettivamente creano danni alla società.
L’argomento del fatto tenue è davvero molto complesso, tanto che spesso si configura allo scuro del reo. Per questo occorre sempre avvalersi del consiglio di un legale: rivolgiti al nostro studio se ne hai bisogno, la prima consulenza è senza impegno!
Articolo scritto in collaborazione con l’avvocato Marta Michelon